In questi anni è molto cambiata la qualità della vita per i cani.
Un tempo per dire che una persona viveva male, piena di stenti, di privazioni e anche di bastonate si usava l’espressione:
al fa na vèta da can.
fa una vita da cane.
Recenti ricerche condotte da Assalco-Zoomark (rapporto 2017) ci segnalano che oltre il 50 per cento delle famiglie italiane possiede un animale d’affezione (in inglese pet), per un numero complessivo di circa 60 milioni di animali. Questo fenomeno ha reso fiorente il mercato, creando catene di negozi e una vera e propria pet economy.
Nelle case italiane vi sono circa 7 milioni di cani, da sempre amici dell’uomo.
Piano piano si è trasformato in animale che vive in casa, accudito e curato con amore, dorme in comodi lettini o nel letto di qualche famigliare e dispone di menù prelibati.
In un convegno di qualche anno fa dal titolo “Il valore del cane nella cultura moderna” il professor Roberto Marchesini, noto etologo e fondatore della zooantropologia, sottolineava come “il ruolo del cane sia cambiato negli anni. La diminuzione del significato strumentale e performativo del cane ha fatto emergere i contenuti più autentici del rapporto uomo-cane. Non possiamo più quindi parlare di cane da guardia, da difesa, da utilità, da compagnia…
Non dimentichiamo che il cane ha acquistato un ruolo sempre più importante anche in attività di utilità sociale: dagli ambiti formativi per il bambino a quelli assistenziali per l’anziano, dagli effetti co-terapeutici della pet therapy, alle valenze di sostegno nel disagio giovanile, nell’alleviare la solitudine…”.
Vi è stata quindi nel tempo una profonda trasformazione nella percezione del ruolo del cane all’interno delle famiglie.
Nella cultura popolare era assolutamente prevalente l’aspetto funzionale. Non si parlava di razze ma del ruolo che l’animale ricopriva. A volte anche in modo scherzoso.
Vediamo quali erano queste categorie.
CAN DA GUARDIA (cane da guardia).
Questo era il tipo di cane più diffuso.
Nelle case di campagna non vi erano recinzioni e i contadini per molte ore al giorno stavano nei campi a lavorare. Quindi avevano bisogno di un cane che difendesse l’abitazione dai ladri e dai malintenzionati.
Tra due edifici prospicienti l’ingresso della casa veniva sospeso un fil di ferro sul quale scorreva una carrucola attaccata alla catena del cane che così poteva correre liberamente nell’area delimitata da questo dispositivo.
Veniva educato a bastonate per essere aggressivo con tutti gli sconosciuti. Aveva confidenza solamente con le persone che gli portavano il cibo.
Mangiava poco e male: i miseri resti della tavola e qualche animale selvatico che gli capitava a tiro.
CAN DA L’OSTIA (cane dell’ostia).
Espressione usata per descrivere una persona scaltra che si muove con abilità ed aggressività. Persona particolarmente avveduta e determinata… un “furbacchione”.
C’è chi considera questa espressione una bestemmia. È da ritenersi più verosimile l’ipotesi avanzata da Giulio Taparelli che il termine “ostia” non abbia nulla a che fare con la religione ma derivi dal latino “ostium” (porta, ingresso) e che quindi questo svelto e ringhioso cane null’altro fosse che un cane da guardia.
CAN DA PAIER (cane da pagliaio).
Era il nome scherzoso con il quale venivano derisi i cani di indole pacifica, per niente aggressivi, inadeguati a qualsiasi attività che se ne stavano comodi in luoghi dove i ladri non sarebbero mai andati a rubare.
Questa espressione veniva utilizzata anche per le persone.
CAN DA CASA (cane da caccia).
La caccia era una attività poco praticata dai contadini. Di solito andavano a caccia persone che i gh’iven teimp e manera (che avevano tempo e disponibilità economiche).
Per scovare gli animali dalle loro tane o per riportarli dopo che erano stati colpiti dalla fucilata si usavano dei cani addestrati che venivano allevati e curati per svolgere questa funzione.
Per i cacciatori, questi cani, svolgevano un ruolo prezioso e quindi erano selezionati e mantenuti con particolari attenzioni.
Non erano i consueti cani che si vedevano in giro, magri e spelacchiati ma cani curati e di aspetto inconsueto.
Per questo era nata una filastrocca molto usata dai bambini per prendersi in giro.
Facia da cul, da can da casa mei al me cul che la to fasa.
Faccia da culo, da cane da caccia / meglio il mio culo che la tua faccia.
CAN DA PASEG (cane da passeggio).
In città le donne sole facoltose amavano farsi accompagnare nelle loro passeggiate da un simpatico cagnolino da passeggio.
Era un cane da compagnia, di piccola taglia, spesso curato come un figlio.
Questa tendenza con il passare del tempo si è diffusa enormemente e si è estesa a tutti i livelli.
Con essa sono fioriti i modi di dire che scherzosamente prendono in giro gli sfaccendati che girano con i cani al guinzaglio.
Ve ch’al can ed Toni!!!
Guarda quel cane di Antonio!!!
L’espressione celava una doppia possibilità interpretativa: guarda il cane di Antonio oppure guarda quel cane di Antonio (dove il cane è Antonio).
A n’s’capes mia s’l’è lo ch’al porta in gir al can o al can ch’al porta in gir lo.
Non si riesce a capire se è lui che porta in giro il cane o se è il cane che porta in giro lui.
CAGNIN DA LECH (cagnolino da “lecco”).
Questo piccolo cane dotato di una lunga lingua, spesso adornato con nastri e fiocchi, conduceva una vita molto domestica.
Viveva prevalentemente sul letto della bramosa proprietaria per soddisfarne i desideri.
Era la versione più intima del cane da compagnia.
Un tempo, come abbiamo potuto constatare, quella del cane non era una vita facile. Prevaleva assolutamente la dimensione funzionale a quella affettiva.
Non era nemmeno concesso il vagabondaggio ai cani randagi spesso affamati e pericolosi portatori di malattie (rabbia…).
Si aggirava per le vie della città una figura leggendaria ormai scomparsa: al ciapacan (l’acchiappa cani).
In molti sono convinti che se ci fosse ancora, avrebbe molto lavoro…
A gh’è in gir dimondi cagnas pericolos.
Ci sono in giro molti cagnacci pericolosi.