Nell’era dell’apparire, e del nascondere le proprie debolezze, ci sono ancora persone che si mettono in gioco e cercano di trovare le giuste riposte alle domande che la vita ci pone quotidianamente.
Marianna ed Emanuele, due giovani sposi correggesi, hanno intrapreso un viaggio in Israele con l’unità pastorale di Correggio (San Quirino, San Prospero, San Pietro).
Guida di questo pellegrinaggio dal potente titolo “Dalle tenebre alla luce”, don Carlo Pagliari.
Un percorso che ha toccato le tappe principali della “storia della salvezza” raccontata nella Bibbia.
Partendo dal deserto del Neghev, dormendo in un kibbutz e contemplando l’alba nel deserto, passando per il wadi di En Avedat, i pellegrini sono giunti in un accampamento di beduini con i quali hanno condiviso lo stile di vita.
Visitando gli scavi di Sodoma e Masada e poi il Mar Morto, i partecipanti si sono dovuti confrontare con alcuni sentimenti e situazioni che nella vita giornaliera ci mettono in crisi: la paura, la voglia di tornare indietro e la mormorazione.
La tappa successiva è stata Betlemme, luogo in cui ha origine la storia messianica, fra gli ultimi, i più deboli, gli emarginati e i dimenticati.
Il viaggio è proseguito per Nazareth, luogo in cui i pellegrini hanno visitato la grotta dove viveva Maria e riflettuto sullo stile di Gesù, che sceglie di trascorrere 30 anni in famiglia vivendo l’ordinario in modo straordinario.
Questo stile, Gesù, desidera poi farlo conoscere ad altri inaugurando i tre anni della sua vita pubblica, ai quali sono stati dedicati i giorni seguenti, con la visita della Galilea e di Gerusalemme.
In questa città si è concluso il pellegrinaggio, nella memoria della morte di Gesù.
Chiedo a Marianna ed Emanuele:
cosa vi ha spinto ad intraprendere questo viaggio?
Emanuele: «È la conclusione di un percorso iniziato qualche anno fa con un gruppo di ragazzi del ’96-’97, che ho seguito come educatore; il viaggio “finale” del percorso propedeutico alla Professione di Fede che faranno a novembre a Reggio Emilia con il Vescovo.
Rivivere (nel 2013 avevo già fatto il pellegrinaggio) con loro questo cammino, ma sopratutto con Marianna, mia moglie, è stato lo stimolo principale. La spinta a intraprendere questo viaggio sta scritta già nell’essere cristiano: quale modo migliore (non il solo!), per mettersi alla sua sequela, se non quello di andare a conoscerlo più a fondo dove ha vissuto? È la tappa “conclusiva” della conoscenza della figura di Gesù e del suo stile di vita. Personalmente desideravo ascoltare ciò che Dio aveva da dirmi: il viaggio è lo stesso, ma le sensazioni che si provano sono diverse».
Marianna: «Per me è stata la terza volta nella Terra del Santo.
Nei viaggi precedenti mi sono innamorata di questa terra, di come questo microcosmo dispiega un numero infinito di paesaggi diversi e meravigliosi: dai wadi scavati nella roccia dalla potenza dell’acqua, al deserto di Giuda, dal Mar Rosso alla depressione del Mar Morto, dalla verde e ventosa Galilea al Lago di Tiberiade così pacifico e fertile. In questi luoghi apprezzi ogni dettaglio che nella vita di tutti i giorni ci sfugge: il sapore del pane, la bellezza del sole e dei suoi colori, la ricchezza dei frutti che la terra ogni giorno ci dona, l’odore intenso delle spezie, del mare, degli alberi e della gente.
Il mio ritorno è stato dettato dal pensiero che Gesù si nasconde sia nelle piccole sfumature che nell’immensità che ci avvolge e nella difficile fraternità dei popoli, mai così vera e reale.
Tutti dobbiamo affrontare domande e ferite che ci stimolano al cambiamento e io sono partita esattamente con questo stato d’animo, come sposa, come ostetrica e come donna.
Quale migliore posto se non questo, quella terra che Lui ha così amato?
È importante vedere tutto questo con lo sguardo giusto, ripartendo dalle origini e assegnando alle cose il loro vero posto, facendo memoria dei doni ricevuti, rendendo grazie per questi e rileggere la propria vita in un’ottica nuova: da qui possiamo ripartire verso la giusta direzione».
Avete trovato le risposte che cercavate?
Emanuele: «Io rientro molto soddisfatto e gratificato. Rientro con la consapevolezza ancora maggiore rispetto a due anni fa che il vero pellegrinaggio comincia qui, a casa, nella nostra Nazareth quotidiana.
Il Signore là lo vai a conoscere, a “studiare”, ad affinare… ma è qui, nell’ordinario, che Lo incontri in prima persona, nelle scelte, negli affetti, nel lavoro e nella casa di tutti i giorni… e allora, poi, porti il pellegrinaggio qui. Ho trovato semplicemente le risposte che il Signore voleva donarmi. Infatti partire con il cuore aperto e pronto ad ascoltare, con meno aspettative possibili e senza la certezza di trovare le risposte che vuoi tu, ma con quella di trovare quelle che vuole darti Lui o ancora più domande, penso sia l’atteggiamento più corretto. Mi ha donato l’opportunità di fare i conti da molto vicino con i miei deserti interiori, con le mie paure, con i miei blocchi, i miei limiti… facendoli sentire stra-amati!»
Marianna: «Come dicevo prima, ci sono risposte che richiedono tempo e tanto lavoro personale, ma quello che cercavo l’ho trovato, ovvero la prospettiva nuova con cui guardarle, il seme che cresce silenziosamente e che diventerà un albero ricco di fronde e di vita.
Ho ritrovato l’affidarsi a Dio sapendo che tutto nella vita ha un perché.
Ho ritrovato il perdono e la grazia di tornare a casa con l’obiettivo di abbattere i muri che ci separano dagli altri, che noi stessi costruiamo e che ci imprigionano di qua o di là, proprio come succede là in Israele. Direi che è il lavoro di una vita».
Che situazione avete trovato?
«L’esperienza diretta ci ha fatto capire quanto sia differente la realtà dalla cronaca giornalistica.
È vero che si vive la divisione tra Palestina e Israele, il muro che separa le case e le comunità.
I giovani a 18 anni non fanno servizio civile, ma vengono addestrati alla guerra.
In mano, al posto dell’iphone, hanno il mitra e i bambini giocano a spararsi nei vicoli delle città. Tuttavia c’è molta gente che coltiva la speranza, che crea ponti invece che muri, senza fare distinzioni ideologiche, praticando con enorme coraggio la via che Gesù ci ha insegnato.
Due esempi pratici sono il Caritas baby Hospital e le suore comboniane a Gerusalemme, le quali hanno letteralmente la casa divisa dal muro, ma questo non le ha bloccate nel vivere sia da una parte che dall’altra».
Avete qualche suggerimento per chi vi leggerà?
«Raccontare, spiegare e condividere questo cammino nella Terra del Santo è molto complicato… soprattutto i sentimenti e i motivi interiori, nostri e di Gesù stesso.
Noi ci abbiamo provato, senza essere troppo vaghi ma nemmeno troppo dettagliati, perché sappiamo che prevale, comunque, ciò che ci ha detto Gesù: “Vieni e vedi”».