Alle 9 in punto l’astronave sfavillante accese i suoi potenti propulsori Ferrari e si alzò da piazza dei Martiri a Carpi. E dieci giorni dopo atterrò su Marte presso la riva del Mare dell’Operosità, così l’avevano battezzato i “creativi” di Confindustria. Un mare di polvere rossa, in realtà. «Sembrano i fanghi reflui della lavorazione del rame!» commentò estasiato un imprenditore del settore metallurgico. Gli altri viaggiatori paganti erano due del settore fashion e l’ultimo del settore piastrelle, con qualche moglie e figlio al seguito. Erano passati pochi anni dai primi miliardari-esploratori e Marte era già diventata una meta turistica molto richiesta.
«Per quello che abbiamo pagato mi aspettavo un viaggio più comodo» brontolò il piastrellaio, saggiando col piede la superficie del pianeta. «Hai ragione. Sempre spuma di aragosta a colazione finisce che stanca. E poi tutti quegli scossoni alla partenza! Una crociera è più confortevole» si lamentò uno stilista. «Ma pensa a quando lo racconteremo agli amici!» cinguettò la moglie del primo, che protendeva il cellulare a fotografare chissàchecosa. «Sì, ma i soldi son soldi» disse il marito che amava i ragionamenti complessi. E poi nervoso: «Quando incontriamo i marziani? Che qui c’è tutto un mare che aspetta solo di essere rivestito con le piastrelle».
Sempre in quei giorni, dal parcheggio dello stadio Borelli a Correggio era partita l’astronave dell’AUSER con destinazione una qualche parte di Marte. I razzi cigolavano terribilmente e portavano i segni di precedenti tamponamenti cosmici. Tuttavia i motori APE, riconvertiti a reazione, alzarono dignitosamente l’astronave in un tripudio di mani agitate dai pensionati che si protendevano dagli oblò. Atterrarono nel Grande Mare dell’Oblio. «Mi ricorda qualcosa, ma non ricordo cosa» commentò il filosofo del gruppo. E il barzellettiere-in-capo, che aveva allietato notte e giorno la compagnia per tutto il viaggio, raschiò il barile del suo repertorio con un’ultima freddura.
Ad attendere i gitanti non c’era nessuno. Dopo un primo moto di delusione il gruppo si organizzò. Furono alzati i gazebo, approntate le tavole, affettati i salami e le mortadelle, stappati lambruschi e prosecchi. Una parte del gruppo si mise a friggere il gnocco con l’attrezzatura appositamente imbarcata alla partenza. «Quando incontriamo dei marziani?» chiese il nipote di un pensionato mentre aspettava la sua sberla di gnocco fritto.
La delegazione di marziani si avvicinò ai viaggiatori. Erano esseri alti e curvi, coi visi affilati color vinaccia. Indossavano tuniche bianche tutte uguali. Recavano corone floreali che misero al collo degli ospiti e qualcuno giurò di averli sentiti sussurrare “Alòha”. «Questi sono marziani come me!» esclamò l’altro magliaio, ma fu subito zittito dalla consorte: «Taci tu che non capisci niente. Cosa ti aspettavi, una sfilata di mostri da film?» Il magliaio chinò il capo e disse «Hai ragione, cara».
Il giorno passò tra discorsi, brindisi, mostre di tappeti marziani, menù “alla maniera di Saturno” e degli altri sette pianeti, danze folkloristiche locali. Il giorno dopo, finalmente, iniziarono gli incontri commerciali. Purtroppo i marziani, di fronte alle proposte che ricevevano, restavano imperturbabili e gli affari languivano. Le signore e i bambini erano stati imbarcati su una gondola marziana per una perlustrazione dei dintorni, da cui tornarono con sacchi di polvere rossa che avrebbero aggiunto alle loro collezioni di sabbie.
Il terzo giorno la comitiva risalì sull’astronave, lucidata da decine di donne delle pulizie marziane, e i razzi la sollevarono dritta come un fuso. Mentre su tutto il Mare dell’Operosità risuonava l’Inno di Mameli.
Intanto sul vicino Grande Mare dell’Oblio non s’era vista ombra di marziani. Ma i partecipanti al tour non ci facevano più caso, alternando i cappelletti ai balli romagnoli. L’operatore turistico infatti aveva imbarcato un’orchestrina, “Luana e i briganti del lissio”, che fecero ballare fino allo sfinimento ogni turista. I caschi da astronauti provocavano cozzi soprattutto nei lenti, mentre le pesanti bombole d’ossigeno compromettevano la lievità dei valzer alla Filuzzi. Ma poi l’assenza di gravità rendeva il lissio molto più lissio. Comunque, il terzo giorno tutti vennero imbarcati, l’astronave miracolosamente si alzò e puntò grosso modo verso la Terra. In quel momento i suoi altoparlanti diffusero sopra il Grande Mare dell’Oblio le note irresistibili de “Il battagliero”.
«Casinisti!» mormorò il vecchio marziano. «Cosa sono?» domandò preoccupato il nipote che giocava ai margini del prato di cristalli. Il vecchio guardava lontano, oltre le lucenti cime che li proteggevano dai mari di polvere. «Niente di importante, continua a raccogliere i frammenti di stelle». Le astronavi degli uomini andavano e venivano con sempre maggiore intensità. E già molti figli di Marte s’erano spostati vicino alle basi commerciali, agli alberghi e ai banchi di hamburger che sorgevano come funghi di là dai monti. Il vecchio sapeva che tutto ciò avrebbe avuto un prezzo. Finite le vacanze sarebbero arrivati i convogli dei coloni. E i soldati dalle tute spaziali blu. E alla fine i pochi marziani rimasti fedeli alle loro leggende avrebbero dovuto trovare rifugio nelle grotte, sempre più in fondo.
Era sera e i marziani del villaggio cominciarono a uscire silenziosi, esseri filiformi e pallidi che cercavano nutrimento dalla rugiada cosmica. Finché una ragazza intonò una canzone malinconica e cominciarono ad accendersi i falò, a centinaia, ad illuminare l’infinito che si stava sempre più restringendo.