Una “diversamente” torre campanaria

1832, 13 marzo, martedì.
É quasi l’alba a Correggio, l’ora in cui il sonno è ancor profondo e gradito ai più. All’improvviso, un sordo cavernoso boato precede un forte scuotimento del suolo, accompagnato da una minacciosa ed interminabile ondulazione. Gli occhi s’accendono di paura e gli orecchi vengono percossi da sinistri cigolii, schianto di tegole, fracasso di voci e gridi, pestate di fuggitivi, animali che strepitano. Uno… due… dodici… secondi di terrore, poi, se Dio vuole, la terra si ricompone e lo spavento si dà tregua. L’orologio della torre segna le ore quattro e venticinque.

 

È un sintetico spaccato della cronaca riferita al terremoto del 1832, che interessò una vasta area della pianura padana emiliana ed in particolare Correggio e Carpi. Una sequenza incessante di scosse perdurò per i sei mesi successivi: fu ritenuta anomala tanto da doverne cercare il capro espiatorio nei rivoluzionari risorgimentali, ritenuti responsabili morali del sisma poiché, ribellandosi alle autorità costituite, scatenavano un evidente segno di disapprovazione divina.

 

A Correggio rovinarono al suolo innumerevoli comignoli, le eleganti torrette della chiesa di san Francesco e la statua di sant’Ignazio nella Chiesa di san Giuseppe di Calasanzio. L’alta cima della porta di Modena minacciava il crollo: molti edifici furono resi malsicuri e inabitabili, fra cui il collegio degli Scolopi e la chiesa di san Giuseppe di Calasanzio. Non si segnalarono vittime.

La popolazione atterrita abbandonò le proprie case e si ritirò nei prati del giardino o nei baluardi delle mura, ricoverandosi sotto baracche improvvisate. Una parte fuggì in aperta campagna sopra carri coperti da tende, su cui stavano letti provvisori per passarvi la notte. Gli studenti collegiali furono accampati dalle parti di san Rocco e il rientro in Collegio non fu possibile poiché la parte superiore della piramide della torre campanaria era pericolante, minacciando il Convitto già di per sé lesionato in molte sue parti.

Si rese, quindi, indispensabile demolire la guglia della torre e coprirla, provvisoriamente, con dei coppi. Il provvisorio divenne poi tuttavia definitivo, e quella torre campanaria monca rappresenta tutt’oggi, per i correggesi, il segno distintivo della chiesa di san Giuseppe di Calasanzio.

 

Chiesa di san Giuseppe di Calasanzio: un po’ di storia

Nel 1557, durante l’assedio di Correggio, venne demolito l’originario Convento dei Domenicani, situato poco fuori le mura della città. Quattro anni più tardi, nel 1561, i Conti da Correggio concessero ai religiosi la facoltà di ricostruire, questa volta all’interno della cinta murata, un nuovo e monumentale Convento (l’odierno Convitto): questo venne edificato tra la fine del Cinquecento e il primo decennio del Seicento. L’isolato, costituito dal Convento e dalla Chiesa di San Domenico, diede il nome di San Domenico all’intero borgo e ancor oggi, seppure pesantemente condizionato dagli interventi dei secoli successivi, caratterizza l’intera area nord-ovest del centro storico di Correggio. Con la soppressione del Convento domenicano del 1872, seguì l’apertura del Collegio degli Scolopi, di San Giuseppe Calasanzio. Attualmente la Chiesa è chiusa a causa degli eventi sismici che hanno colpito Correggio negli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso.

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