Come in una delle migliori ricette della nostra tradizione emiliana, la serata del 10 luglio organizzata da Primo Piano al Giardino delle Feste di Correggio ha avuto tutti gli ingredienti giusti per mettere in tavola un piatto gustoso e saporito.
A cominciare dalla scelta del luogo: grazie alla collaborazione dei volontari del PD di Correggio lo spazio dove è stata allestita la serata era l’ideale per ritrovare l’atmosfera delle aie, delle feste paesane e delle balere della nostra terra. Fondamentale è stato anche il contributo degli sponsor dell’evento: PROGEO, Caseificio 4 Madonne, Schiatti Class e Libreria Ligabue.
Dopo l’ottima cena è salito sul palco il protagonista della serata: Stefano Bicocchi, in arte Vito. Con il suo monologo “Estate nella Bassa”, scritto da Maurizio Garuti, abbiamo ripercorso storie e ricordi di diverse generazioni, ritrovandoci di nuovo al tavolino di un bar dei nostri paesi.
Vito, con i suoi monologhi, porta in scena un mondo. Il mondo della sua infanzia, le radici della sua maschera emiliana. I protagonisti sono donne e uomini padani, personaggi legati alla terra e al buon cibo e quindi all’amore, simboli di quell’identità che parte da Bertoldo, passa per Zavattini e arriva fino a Fellini, quello di Amarcord.
Età diverse, generazioni differenti, esperienze con i segni delle stagioni sociali che si sono succedute con rapidi cambi di fondale in un’area geografica definita, la pianura bolognese. Dalla periferia urbana alla “bassa”, dalle ex-risaie alle colture in serra, dal lavoro a domicilio all’orizzonte della “globalizzazione”: praticamente il teatro dove, negli ultimi 50 anni, è cambiato tutto. Ogni personaggio parla in prima persona, esprimendosi in una sorta di soliloquio che porta in luce frammenti autobiografici, evocando quadri di vita vicini e lontani nel tempo. Talvolta le ricette, ritrovate nei ricettari domestici, tramandati di generazione in generazione, vergati a mano come le pagine di un diario, sono rappresentate sul palcoscenico, come formule di un sentimento, come i suggelli metaforici degli affetti familiari. Dalla tavola parte una sequenza di ritratti a campo più largo, dove non è difficile scoprire il rimescolio di esperienze, di costumi, di linguaggi che ha segnato il paesaggio umano in questi ultimi decenni.
Ci sono storie vere e storie inventate; personaggi fantastici e personaggi reali. Tutti sono accomunati dall’essere surreali, dal vivere nel confine dell’assurdo, cresciuti dove la fame faceva fare i bambini e dove i circhi miseri di provincia erano costretti, durante le permanenze a cucinare i leoni che, essendo magrissimi, non sfamavano nessuno.
Uno spettacolo di atmosfere, che ha narrato un universo surreale e affascinante, quello della Bassa che Zavattini amava descrivere con una riga, che quando c’è la nebbia diventa un tutt’uno tra cielo e terra.
La narrazione di Vito ha questa grande forza: sembra di essere in compagnia di un amico che sa farti sorridere delle nostre piccole vanità, recuperando le situazioni paradossali che accadono nella vita dei nostri paesi di pianura e lo fa senza adagiarsi nella malinconia ma utilizzando l’ironia che ci appartiene da sempre, quella che nasce dallo sguardo contadino.
In conclusione di serata Vito ha voluto regalarci un bellissimo ricordo del suo papà, che ci ha lasciato da poco. Anche in questo passaggio la commozione si è sciolta nella dolcezza del sentimento di un figlio: il racconto delle avventure di suo padre, diventato negli ultimi anni una star della televisione, sono state un esempio di quella capacità tutta emiliana di portare nei nostri cuori, attraverso un sorriso affettuoso, il ricordo di chi non c’è più.