Fu l’antica sede della Zecca del Principato di Correggio; poi, secoli dopo, diventò studio e abitazione del fotografo Gildaldo Bassi.
È il palazzo d’angolo tra via Jesi e Piazza Garibaldi, oggi proprio… nuovo di zecca. Grazie al recupero conservativo voluto e finanziato da James Amaini, il proprietario, questo gioiello della memoria correggese, che risale alla fine del trecento, porta nuovo valore alla città e al suo centro storico.
«Il movente? La mia passione di sempre, quella per la storia della mia città.
È un dono che dedico alla mia famiglia. Vorrei, infatti, che la parte abitativa di questo palazzotto, ai piani alti, fosse occupata dai miei figli, Erica e Nicolò», dice Amaini, senza pretendere, proprio per questo, meriti di benemerenza cittadina. Questo restauro è un sogno che ha coltivato per una quindicina d’anni.
James è uno dei più anziani (mi perdoni!) adepti della nostra meritoria “Società di Studi Storici”, un frequentatore instancabile di archivi e deputazioni, tra Correggio e dintorni. Mentre mi parla, i secoli trascorsi del borgo correggese irrompono ricchi di dettagli: date, citazioni, intrecci tra casate, nomi di vario rango, gesta di uomini d’arme o di lettere, intrighi di prelati e cavalieri.
Fino ad arrivare a Siro, principe sfortunato, l’ultimo dei “da Correggio”, finito in miseria, dopo aver perso il titolo e il principato stesso per la disavventura delle monete false, coniate da quella zecca che stava proprio qui nel palazzo, tra il pianterreno e l’interrato.
Dopo il magnifico soffitto a cassettoni cinquecentesco ritrovato con il restauro, Amaini mi mostra la traccia del grande forno dove i disinvolti zecchieri del tempo operavano la fusione dei metalli, alterando, vizio diffuso nei principati, la combinazione ex regola tra quelli poveri e quelli nobili. Fatal cattiva moneta, per Siro. Triste antesignano, chissà, dei governanti che si dicono raggirati, ancora oggi, a loro insaputa?
Arriviamo a Gildaldo Bassi, il pioniere dei fotografi correggesi. Nell’ultimo decennio dell’ottocento il Bassi, già noto per il baldacchino trainato da cavalli che gli serviva per la sua “foto viaggiante”, sopraeleva il palazzo e vi sistema per bene studio e abitazione. I due finestroni ad arco che sormontano quella specie di abbaino, oggi ripristinato nella forma primigenia dopo i rilievi minuziosi dell’architetto Mauro Severi, servivano a Gildaldo per prendere luce e stampare, con l’alchimia appresa nell’espatrio americano, le foto ai tanti correggesi che salivano lassù per guadagnarsi un ambrato scampolo di immortalità. Nel suo ufficio aziendale James Amaini tiene a muro alcune stampe giganti del famosissimo “reportage Bassi” sulla Correggio dell’epoca: una serie di capolavori autografati, in parte purtroppo perduti, in parte conservati nel nostro Museo cittadino.
Davanti al palazzo rinato, l’occhio spazia dalle impronte del medioevo a quelle del liberty: i sesti acuti di finestre gotiche così ben visibili, il fregio che corre a segnare i piani distinti, il portoncino dove c’era la sartoria Stilwam, il portone di Via Jesi dov’era il deposito dei carri funebri di Cabassi, trainati dai cavalli che lì pure, almeno di notte, riposavano… in pace.
«Non è finita -dice Amaini- Abbiamo completato la parte muraria, resta tutto il resto. Ma me la prendo con calma, per centellinare ogni dettaglio e assaporare ogni passaggio. Poi serve ancora tanta moneta, ma di conio buono, e la zecca personale io non ce l’ho». Intanto l’occhio nostro si accontenta. Ed è un buon segno per quel patrimonio storico artistico di Correggio che ancora aspetta una nuova epifania.
La zecca di Correggio, sessant’anni di vita tormentata
La facoltà di battere moneta fu concessa ai Conti da Correggio, Gerolamo, Giberto, Camillo e Fabrizio, da Ferdinando I d’Asburgo, imperatore del Sacro Romano Impero, il 16 maggio 1559, quando Correggio fu elevata al rango di città.
Solo 10 anni più tardi i Conti da Correggio aprirono la Zecca affidandola al reggiano Giovanni Antonio Signoretti, zecchiere a Reggio Emilia e a Novellara.
Con i fratelli Magnavacca, suoi soci, il Signoretti batté undici tipi doversi di monete d’argento e di mistura, ma cominciarono presto i contenziosi per spiacevoli episodi di “monete calanti” (che cioè nel passaggio di mano in mano perdevano peso e valore o che erano già contraffatte di fattura con l’uso di metalli meno nobili) battute anche per conto terzi.
Dopo vari passaggi da uno zecchiere all’altro, la Zecca di Correggio perse gran parte del suo prestigio, perché alcune monete furono messe al bando negli Stati confinanti, proprio per il loro valore calante.
Per ben 19 anni, l’officina monetaria correggese fu gestita da Marco Antonio Ferranti, un nobile bresciano, che, con l’andar del tempo, venne accusato di ogni nefandezza. La sua carriera di zecchiere finì nel maggio del 1600 a Correggio, quando fu misteriosamente assassinato.
Dopo diversi e ulteriori passaggi di mano, l’ultimo conduttore della Zecca fu l’ebreo Joseffo Tesei, nominato dal Principe Siro.
Nel 1630 il Principato di Correggio andò incontro al tracollo. Tra i motivi scatenanti ci fu il processo per le monete false, che chiamò in causa direttamente il Principe Siro.
Pagando 230.000 fiorini, Siro avrebbe potuto riscattare il feudo. Né lui, né il figlio Maurizio furono in grado di farlo. Siro abbandonò Correggio e trovò rifugio presso i frati cappuccini di San Martino in Rio. Per quella stessa cifra il Principato di Correggio, sequestrato, venne ceduto alla Spagna, che nel 1635 lo vendette, previo rimborso della somma versata, al Duca di Modena e Reggio Francesco d’Este.
(dal volumetto “Le monete di Correggio nella collezione Lusuardi” edito dal Comune di Correggio, nel 2007).