Al lavoro dei fratelli Narcisi, artigiani del ferro, Primo Piano di aprile ha dedicato un articolo. Oggi focus sul più giovane di loro, Marco Narcisi. Non di lavoro però parliamo, ma della sua passione per lo sport, che lo porta ad imprese dure come il… ferro.
Partiamo dall’inizio, caro Marco?
«Mi piace praticare sport per soddisfazione personale, per tenermi un po’ in forma; non certo per i risultati cronometrici. Andavo in bici e ne ho fatte di ogni. Poi ho rallentato, sono sceso dalla bicicletta e ho cominciato ad andare a piedi con gli amici della Podistica Correggio. E lì, mi sono sentito prima incuriosito e poi attratto dalle corse trail».
Ma cos’è il trail?
«È una gara non stop di corsa a piedi fatta in montagna (si corre anche di notte) spesso con dislivelli molto, ma molto impegnativi. Vengono affrontati in semi autosufficienza, con lo zaino sulle spalle con il necessario per la sicurezza personale. Viene dato un tempo massimo e vi sono vari passaggi obbligati entro orari prestabiliti, pena l’eliminazione dalla gara».
A quali gare hai partecipato?
«Ho corso la BVG Salò-Limone sul Garda, 75 chilometri con 4.400 metri di dislivello; la Dolomiti sky-run che parte da Braies, 130 chilometri e 10.300 metri di dislivello e tante altre. La più bella e impegnativa l’ho disputata a settembre 2016 in Val d’Aosta: si tratta del Tour des geants, il Giro dei giganti. Sono 340 chilometri e, udite udite!, 31.000 metri (ovvero 31 chilometri) di dislivello percorrendo la via alta e la via bassa della regione, rimanendo sempre tra i 1.200 e i 3.100 metri di quota, con tempo massimo di percorrenza di 150 ore».
Mi spieghi, magari con un esempio, gli aspetti psico-fisici di questa tua nuova passione?
«Proprio al Giro dei giganti ero reduce da un problema fisico e quindi ho sofferto moltissimo. Aggiungi poi il maltempo: pioveva a bassa quota e oltre i 1.800 metri nevicava. Al passo di Malatrà ho usato i ramponi (fanno parte del materiale obbligatorio di cui sopra) ed ero tutto inzuppato, un freddo cane: insomma, una sofferenza indicibile, ma volevo arrivare ugualmente all’arrivo. A Courmayeur poi, con la piazza piena di gente che ti acclama, dimentichi tutto il patimento, il freddo, le poche ore di sonno per notte. E nella mente ti restano soltanto i paesaggi stupendi visti e vissuti durante il tragitto, che ti porterai per sempre nel cuore. Il desiderio immediatamente successivo è quello di un bagno caldo corroborante per le povere membra di un vecchietto (sono del ‘54) che finalmente si rilassano. Poi arriva un pasto super calorico per reintegrare le energie e un buon massaggio, per trovarsi tutti alla festa che il paese dedica ai Giganti, perché così vengono chiamati coloro che portano a termine questa impresa».
Nel parlare con Marco, gigante tanto grande quanto modesto, si ha l’impressione che, mentre racconta queste avventure, stia già pensando, oltre che ai suoi quattro gatti che lo aspettano a casa, anche alle prossime corse trail e alle tante escursioni che effettuerà nel tempo che intercorre tra una gara e l’altra con gli amici di sempre. A noi di taglia normale, con un misto di invidia e ammirazione, non resta che dire, evocando quel vecchio carosello: «Gigante… pensaci tu!»