Se è vero il detto: «Chi ben comincia è a metà dell’opera», il Teatro Asioli di Correggio, venerdì 11 ottobre, con l’opera “Il silenzio grande” dello scrittore napoletano Maurizio De Giovanni, egregiamente diretto da Alessandro Gassman, ha inaugurato una stagione di grandi successi.
Durante i centoventi minuti di spettacolo, tra l’altro volati via in un attimo, personalmente ho riso, riflettuto e mi sono anche commossa, fatto per me insolito, essendo la prima volta che mi capita a teatro. Deve essere stato per colpa/merito delle abili tecniche scenografiche che, tramite la proiezione di visioni e ricordi, riescono a coinvolgere lo spettatore nella finzione, tanto da farla apparire vera.
Anche la trama è in grado di avvincere, portando sulla scena una problematica piuttosto attuale e universale: la difficoltà a instaurare dialoghi che si basino sull’ascolto reciproco, su un’interazione che non sia, in realtà, uno scambio vuoto, in quanto basato su una comunicazione unidirezionale. Infatti, il padre Valerio Rimic, interpretato da un più che convincente Massimiliano Gallo, scrittore di successo che vive rinchiuso nel suo polveroso studio, appare “sconnesso” con i tempi e le dinamiche familiari, incapace di interagire con i membri della famiglia e di accogliere le loro richieste di attenzione. Allo stesso tempo, la moglie Rose, interpretata da una Stefania Rocca che appare in perfetta sintonia con i sentimenti del suo personaggio, la figlia e il figlio entrano nel “rifugio” del padre solo per formulare accuse, non concedendo mai al marito e padre il tempo per fornire loro spiegazioni, e negando a loro stessi il tempo di ascoltare. L’unico personaggio in grado di riempire quel “grande silenzio” che si forma a forza di accumulare tante piccole cose non dette pare essere la governante Bettina, la bravissima e applauditissima Monica Nappo, la quale, al contrario, è capace di ascoltare tutto e tutti, dando importanza anche ai più piccoli sospiri. E infatti sarà proprio lei a regalare al padrone di casa una frase che cela un significato profondo: «sono i piccoli silenzi che via via creano un silenzio grande».
Un colpo di scena finale appare poi come il coup de maître in grado di chiudere lo spettacolo in modo del tutto inaspettato.
Non pensiate però che io ve lo riveli! Non lo farò, perché la piéce è ancora in giro per i nostri teatri, e vale assoloutamente la pena di essere vista.