Un CORE d’avanguardia che pulsa di umanità

L’eccellenza reggiana in oncoematologia spiegata e vissuta

Viviamo nell’eccellenza, ma ce ne accorgiamo solo se abbiamo bisogno (per fortuna). Nella provincia di Reggio Emilia, infatti, si sopravvive di più al tumore rispetto al resto d’Italia. L’Emilia Romagna, seguita da Toscana e Veneto, è la regione con il più alto indice di sopravvivenza al brutto male. Lo dice il censimento I numeri del cancro in Italia nel 2017. In particolare, nella nostra provincia, si sopravvive meglio ai tumori al colon, al retto e all’utero. Merito della prevenzione, vero, ma anche di strutture ospedaliere che tutto lo stivale ci invidia, come ad esempio il recentissimo CORE, il Centro Oncoematologico dell’ospedale di Reggio.
Desideriamo raccontare questa entusiasmante realtà attraverso la voce del dottor Giorgio Mazzi, direttore del presidio ospedaliero unico della sanità reggiana, che ha curato la nascita di questo centro fin dal primo momento, e anche attraverso la testimonianza del dottor Franco Oliva, farmacista correggese noto per la sua solarità.

 

Dottor Mazzi, cosa distingue il CoRe dal resto dell’attività ospedaliera reggiana?
«Diciamo che il CORE è un pezzo che mancava. L’idea è nata alla fine della prima decade del Duemila, con la consapevolezza che il nostro ospedale si stava fortemente connotando per una risposta qualificata nell’ambito oncologico ed ematologico, e aveva la necessità di aggregare al proprio interno tutte le funzioni più strettamente collegate al percorso del paziente oncologico. Per questo è nato il progetto del CORE, un progetto che ha visto anche il GRADE (Gruppo amici dell’ematologia) partecipare molto attivamente alla realizzazione dell’opera attraverso una donazione di oltre due milioni di euro, che ha consentito di alzare di un piano l’edificio inizialmente progettato. Il CORE ha visto la luce con l’inaugurazione dell’11 giugno del 2016. Sotto il profilo architettonico è una struttura che ha avuto anche tanti riconoscimenti, come il premio del Centro Nazionale per l’Edilizia e la Tecnica Ospedaliera (Cneto) come migliore realizzazione del 2016 in ambito sanitario. La qualità del profilo architettonico e impiantistico è l’immagine adatta di quello che rappresenta il CORE in termini di cura. Per “cura” non intendo solo diagnosi e terapia, ma la “cura” è il “prendersi cura” del paziente con patologia oncologica in tutto il suo percorso, attraverso una coralità di professionisti che seguono il paziente dall’inizio alla fine, conoscendolo per nome e personalizzando la sua esperienza».

Come avete fatto a creare questo ambiente così umano?
«Non è un merito nostro, ma il merito è di una comunità di professionisti che ha sviluppato non solo delle altissime competenze sotto il profilo tecnico, assistenziale, di cura, di diagnosi, di terapia e riabilitazione, ma ha intriso la struttura e il proprio operato quotidiano di un approccio fortemente legato al benessere del paziente sotto il profilo delle condizioni alberghiere in cui viene ospitato e soprattutto dell’attenzione ai suoi bisogni. Un paziente non ha solo bisogni legati alla guarigione ma ha anche bisogni che si collocano in una dimensione di speranza: poter guarire di poter tornare alle proprie attività. E questa approccio lo vivono tutti coloro che sono coinvolti nel processo di cura, dagli operatori sociosanitari, agli infermieri, ai tecnici, ai medici».

In che modo avete selezionato l’altissima qualità del personale?
«No, non una vera e propria selezione, la selezione è stata naturale, nel senso che nel momento stesso in cui un giovane professionista entra a far parte di un’equipe che vive ed esprime questi valori facilmente si allinea a questo modo di concepire la cura e l’assistenza».

 Quali sono state le altre realtà che hanno reso possibile il realizzarsi di questo progetto?
«Devo ricordare tutte quelle associazioni che ruotano attorno alla malattia oncologica. Sicuramente Apro (associazione per la radioterapia oncologica) Onlus, l’associazione Vittorio Lodini, l’associazione Il giorno dopo, ne ho citate solo alcune… ma sono tantissime: per fare un altro esempio, anche la Festa della Birra di Reggiolo che è un sostenitore importantissimo ed entusiasta del GRADE e quindi indirettamente del CORE».

Il progetto è stato curato dallo Studio Binini, un’altra eccellenza reggiana nella progettazione ospedaliera…
«Abbiamo anche fatto un convegno lo scorso anno incentrato sul CORE ed è stato un’occasione per vedere che quello che è stato fatto a Reggio ha varcato i confini della nostra provincia e trova consensi e apprezzamenti diffusi, cosa che fa estremamente piacere. Si sente un orgoglio diffuso di appartenere ad un progetto come questo».

Il CORE è appena nato, ma cosa si può auspicare e prevedere per il suo futuro?
«Quello su cui stiamo lavorando è la costruzione di percorsi diagnostico-terapeutici-assistenziali sempre più mirati a personalizzare l’assistenza e la cura del paziente oncologico non attraverso generiche “categorie di pazienti”. Personalizzare questo percorso significa che ogni singolo paziente ha un nome e cognome, e viene preso in carico da un’equipe multidisciplinare di professionisti, partendo da chi lavora all’interno dei laboratori per avere una diagnosi sempre più puntuale e precisa, fino ad arrivare a chi è chiamato a riabilitare queste persone per restituirle ad una vita di relazione e ad un reinserimento lavorativo. Io sono orgogliosissimo del CORE, anche perché ho avuto il privilegio di seguire l’evoluzione del progetto fin dall’inizio: sono uno dei più entusiasti del risultato finale, consapevole che non è mai un traguardo, ma sempre un punto di partenza».

 

Quando passo di là, li vado ancora a trovare

Il dottor Franco Oliva ha voluto raccontare a Matteo De Benedittis la sua esperienza al CORE in una chiacchierata sotto i portici, mentre tutti coloro che passavano si fermavano a salutarlo calorosamente. Oliva è stato operato nell’inverno scorso per un tumore al colon, intervento che ha richiesto diciotto giorni di ricovero divisi in due tranche separate da quaranta giorni di convalescenza domestica.
Io ne posso parlare solo bene, anzi: benissimo! Lo screening preventivo l’ho fatto a Correggio, e subito mi hanno mandato a Reggio: lì si è aperta la mia avventura. Il dottor Crotti mi ha consigliato il chirurgo Pedrazzoli, e io mi sono trovato benissimo: ho parlato con lui e mi ha messo a mio agio, una persona squisita. Il primo intervento è stato il 16 dicembre 2016, il secondo invece il 20 gennaio 2017, mi ha operato un chirurgo di nome Giunta: una persona fantastica. Ma è l’ambiente del CORE che è fantastico, io che sono farmacista me ne accorgo. È stata la mia prima esperienza ospedaliera, e non posso parlarne che bene: dall’ultimo inserviente al primario è un ambiente che ti fa sentire a casa. Dopo l’intervento il dottor Giunta mi veniva a trovare, mi faceva coraggio: «Franco, resisti, non ti preoccupare», mi diceva, e ogni sera, prima di andare via, alle otto, veniva a trovarmi. «Come stai?» mi chiedeva… mi viene ancora la pelle d’oca. È stata la cosa più bella per me. Il dottor Pedrazzoli passava tutte le mattina, con tutta l’equipe e le infermiere a spiegare le condizioni del paziente: tutti sapevano come mai ero lì e cosa fare. Un’elite dall’aspetto umano. Io mi sono trovato lì per Natale, venivo dimesso il 26 dicembre, sarei potuto andare a casa un giorno prima, ma mi sentivo coccolato: tutto il personale era lì alla vigilia di Natale. Pedrazzoli e sua moglie sono passati il pomeriggio di Natale a salutarmi: mi sono sentito a casa mia. Le camere erano tutte doppie, mi sentivo in albergo, sai quelle volte che sei contento di pagare le tasse? Ecco. L’ambiente è stupendo, sei preso in considerazione e non sei un numero, ti chiamano per nome, ti mettono a tuo agio. Abbiamo trovato assistenza massima. Io avevo paura degli ospedali, ma mi sono trovato bene. Quando passo di là li vado sempre a trovare: non solo il primario, ma tutta l’equipe dei dottori.
Posso anche fare il paragone con il Rizzoli di Bologna: niente da dire a livello professionale, tanto di cappello, tutta l’equipe al top, ma irraggiungibili, li vedevamo troppo lontani. Al CORE ci si sente trattati come a casa. È stata organizzata a Campagnola una pizzata per raccogliere fondi per il CORE: c’erano più di mille persone! Quando una struttura funziona bene, la gente reagisce bene. Dobbiamo essere orgogliosi di un’eccellenza che abbiamo da noi. Dobbiamo essere riconoscenti all’Emilia Romagna per la prevenzione e la cura. Ho fatto la scelta giusta: se uno ha un brutto male ci vuole un ambiente del genere.

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