Un amatore con il fischietto

Carlo Zini, detto Caròla, l’arbitro dallo sguardo sfuggente

Siamo negli anni Ottanta e Novanta: rettangolo di terra discretamente livellato, erba rasata affetta da maculopatia, segni per terra quasi dritti, due porte pseudo rettangolari con reti adeguatamente rammendate. Aggiungete 22 uomini con pantaloncini e magliette quasi uguali (ad alcuni le mogli le hanno lavate, ad altri no, apostrofati con “ranget”, visto che odoravano un po’). Poi un uomo vestito di nero con un fischietto in bocca. Che cosa immaginate che il tutto sia? Una normale partita di calcio, voi direste. Vero, se non fosse che gli atleti sono della categoria amatori, il che vuol dire che la forma fisica è a dir poco approssimativa per non dire di peggio, e che l’arbitro può essere “il più amatore” tra tutti i protagonisti. Ecco, questa era la scenografia ambientale più frequente che si poteva vedere, in quegli anni, su parecchi rettangoli di gioco, dalle parti nostre.

Ed è proprio degli uomini con il fischietto che vogliamo parlare, gli arbitri delle partite tra amatori (direttori di gara per quei tempi e quelle partite, è parola un po’ grossa). In particolare di quelli, numerosi, della sezione di Correggio e del loro “capo” Carlo Zini detto amichevolmente “Carola” (con l’accento sulla o) l’arbitro dallo sguardo fulminante e dalla voce tonante. Questi signori svolgevano, diciamolo, un’opera sociale meritoria, permettendo a tanti appassionati, che possedevano indubbia volontà, piedi non proprio gentili (con il pallone e con l’avversario di turno), non eccelso acume tattico e quasi nullo fair play, di praticare come i loro campioni preferiti lo sport più popolare: il calcio.

Caròla inviava questi tutori dell’ordine sportivo a dirigere partite che si svolgevano in orari, in campi, in condizioni climatiche quasi sempre al limite del buon senso. Esempio: Prato di Correggio, termometro a meno quattro, nebbia che ci appoggi contro la bicicletta, però si vuole giocare lo stesso, rivalità di campanile, segnalinee di parte, arbitro stanco, perché è arrivato con la morosa, quindi va da sé che può essere un po’ stanco! Sono presenti tutti gli ingredienti per una partitella a dir poco frizzante. Cosa che puntualmente succede. Ed è in queste occasioni che emergono i migliori, con polso fermo. Prima si ammonisce, poi si espelle, e, come extrema ratio se proprio non ubbidiscono, si estrae dal cilindro l’asso pigliatutto, la minaccia delle minacce, quella che tutti temono: «O vadi fuori lei, o vado fuori io», mimando di mollare il fischietto al primo che ancora protestava e di andarsene a casa (anche perché la morosa ha freddo).

«Carlo, vi sentivate un po’ dei pionieri?» gli domando mentre, tanto per cambiare, assistiamo ad una partita di ragazzi della sua società. Carlo ora sta dall’altra parte della barricata, come Presidente del San Prospero Correggio, non arbitra più, li giudica e li rampogna ogni tanto.

«La sezione di Correggio degli arbitri UISP era una realtà molto attiva non solo durante l’attività agonistica ma anche nella vita di tutti i giorni: una dimostrazione fu la costruzione degli spogliatoi del campo “Cantona” eretti nel fine settimana a forza di manovalanza prestata dalla sezione medesima. E come non ricordare l’attività svolta dai nostri predecessori identificati con i loro “scutmai”: Stagno, Cacca, Borsa Nigra, Cècio che aprirono la prima sede fissa in Correggio. E poi Baracchi, Davoli, Provitera, che ne proseguirono e ne ampliarono l’attività con numeri sempre più importanti sia di iscritti, di partite da gestire e territorio da percorrere per assicurare lo svolgimento delle varie manifestazioni: torneo delle aziende, campionati amatori, tornei giovanili, i primi campionati femminili e così via».

Sacrificio, dedizione, tempo strappato alla famiglia. Ne tenevano conto gli atleti, che spesso potevano essere vostri amici, conoscenti, o addirittura colleghi di lavoro? Che rapporti c’erano tra di voi sul rettangolo di gioco?

«Certo, penso di sì, anche se debbo dire che qualche volta la gratitudine un po’ si offuscava, quando pensavano di aver subito una punizione ingiustificata o per proteste o per un “leggero” intervento da tergo. Allora era necessario mostrare la faccia dura, ma delle volte non era sufficiente. Il clima si faceva rovente e bisognava, fischiettando e ostentando indifferenza, avvicinarsi agli spogliatoi in cerca di un riparo perché c’era il rischio che qualcosa “piovesse”: carezze pesanti, parole colorite, qualche consiglio a fare meglio, concreto, con tanto di spinta o buffetto. Ma erano episodi rari, che ricordo con affetto, ironia e tanta nostalgia, perché gli anni passati sono tanti!» Ormai si va per gli ottanta, come sussurra Carlo, accompagnando il rispettabile numero con un bel sospiro.

Grazie Carlo, per avermi ricordato quei bei tempi cui anch’io ho partecipato assieme a tanti altri “allora ragazzi” di Correggio che, pure loro, ne sono certo, oggi ricorderanno volentieri. E se vorranno condividere le loro storie con Primo Piano… che aspettate? Fatevi vivi, ragazzi!

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