Aumento delle crisi d’ansia e del numero di ritiri scolastici. Sono i segnali più vistosi delle conseguenze della pandemia sui ragazzi delle scuole medie e superiori. Anche sul territorio correggese i dati parlano chiaro: in linea con i risultati di una recentissima ricerca regionale, i disagi psicologici sono stati avvertiti maggiormente nelle fasce d’età dagli undici ai tredici anni e dai quattordici ai diciotto. Secondo il Servizio di Consulenza Psicologica dell’Associazione Pro.di.gio, finanziato dai Comuni del nostro Distretto, nel 2020-2021 le consulenze richieste dalle scuole secondarie di primo e secondo grado sono aumentate in media del 77% (tra utenti e numero di accessi). Sono invece aumentate del 39% le richieste delle scuole primarie e d’infanzia.
La dottoressa Roberta Truzzi, psicologa in alcune scuole correggesi, precisa che i dati dell’anno scolastico 2021-2022 non sono ancora disponibili, ma il trend è analogo al precedente. «Per quanto riguarda la scuola secondaria – ci spiega – molto spesso le richieste di consulenza psicologica ci arrivano direttamente dagli studenti. Anche i genitori e gli stessi docenti si sono dimostrati molto attivi nel cogliere e segnalare i primi segnali di disagio».
I casi si presentano in egual modo sia nei maschi che nelle femmine, tuttavia le ragazze sembrano avere una maggiore familiarità a raccontare i propri stati d’animo e dunque sono maggiori le richieste dirette di consulenza da parte loro. Nei due anni di pandemia si sono manifestati con più forza disturbi che erano già presenti, tensioni che venivano già percepite, ma che si sono amplificate nel periodo del lockdown e della didattica a distanza. Si sono moltiplicate le sintomatologie ansiose e non sono pochi i casi di ragazzi che non riescono più a tornare a scuola.
Dunque, come devono muoversi la scuola e la famiglia? Secondo la dottoressa Truzzi il Servizio di Consulenza Psicologica deve lavorare sulla resilienza. «Dare fiducia e sostegno ai nostri ragazzi perché possano ritrovare e mettere in pratica tutta una serie di abilità e risorse che già possiedono, ma che in questi ultimi due anni di covid sono state messe in standby».
La famiglia e la scuola devono fare rete, collaborare nel cogliere i primi segnali di disagio e nel mettere in pratica strategie condivise per affrontare le difficoltà. La complessità delle diverse situazioni fa sì che la scuola sia sempre più chiamata a sottolineare il suo ruolo educativo e non solo didattico. La famiglia d’altra parte è chiamata ad essere più consapevole della propria responsabilità genitoriale. Il genitore può sostenere il percorso di crescita del figlio, avendo fiducia che possa superare gli ostacoli che incontrerà nel suo cammino.
Degli effetti della Pandemia sulla Scuola Primaria abbiamo parlato con Margherita Borghi, maestra che insegna alla “G.Rodari-Cantona”.
«Il primo lockdown – ricorda – ha sorpreso me e le mie colleghe a metà della classe prima. Avevamo bambini di sei anni che si erano appena affacciati alla Scuola Primaria e che, da un giorno all’altro, si ritrovavano a casa. Poco dopo è cominciata la Didattica a Distanza che, se per tutti è stata una novità alla quale non si era preparati, per chi aveva una classe prima è stata una vera e propria avventura. Il ritorno a scuola ha poi fatto emergere ciò che la pandemia ha portato con sè: dal punto di vista degli apprendimenti occorreva riprendere buona parte di ciò che era stato fatto in modalità remota, mentre dal punto di vista relazionale nulla era più come prima. Tutti volevamo tornare in presenza, ma c’era un prezzo da pagare».
Dunque nella Scuola Primaria i riflessi negativi si sono fatti sentire soprattutto sul piano dell’apprendimento e, alla ripresa, tutta l’organizzazione ha dovuto essere rivista.
«La giornata tipo della nostra scuola a tempo pieno è stata ripensata per rispondere alle esigenze di sicurezza, con la speranza che queste ci avrebbero evitato un’ulteriore chiusura. E così abbiamo organizzato gli ingressi separati con orari differenziati per le diverse classi; abbiamo sospeso i momenti di lavoro a grande gruppo che, per una scuola come la nostra, erano linfa vitale; abbiamo rinunciato alle uscite didattiche, da sempre uno straordinario momento di formazione ed un’indimenticabile occasione per affacciarsi alla vita. Anche il momento del pranzo ha subito delle restrizioni: non più insieme in mensa, ma ciascuno nella propria aula. Occorre ammettere che i bambini sono stati straordinari nel cercare di adattarsi a questa nuova normalità: l’importante per loro era ritrovarsi».
Margherita sottolinea come il contraccolpo della pandemia abbia colpito duramente i bambini provenienti dai contesti più svantaggiati, poiché soprattutto a loro sono venuti a mancare gli stimoli che arrivano da una dimensione sociale allargata: «Io credo che la scuola sia il mezzo con il quale si possono pareggiare i conti. Per questo nel dopo Covid dobbiamo lavorare per offrire a tutti un’opportunità. Per fare questo non servono verifiche, media matematica dei voti, nuove pagelle o circolari: serve vivere la scuola come se non avessimo mai finito di andarci».