Si sta finalmente placando l’acceso dibattito sull’eventualità di apporre anche sul vino le cosiddette etichette “informative/dissuasive”, come quelle presenti sulle sigarette. Una polemica particolarmente vivace che ha visto due fronti contrapposti in un’agguerrita battaglia, animata sia da riscontri analitici oggettivi che da affermazioni più che altro polemiche. La gestione di questa guerra di posizioni è stata condotta in modo talvolta infantile, senza arrivare ad una sentenza finale in grado di fornire una risposta chiara ai consumatori. D’altro canto, quando ci sono di mezzo i social (forse anche questi andrebbero etichettati come pericolosi), ogni interlocutore si preoccupa di esprimere pareri popolari per non scontentare nessuno. Nella sostanza non c’è stata nessuna vittoria e nessuna sconfitta in questa battaglia, che però ha riportato l’attenzione sul problema dell’assunzione consapevole dell’alcool. A subire le sorti peggiori, comunque, sono stati i viticoltori. Questo non certo in virtù del momento economico particolarmente preoccupante per il vino dei territori dei Lambruschi, ma per il fatto che i produttori ne escono dipinti come “venditori di morte”: quando si parla dei problemi legati all’assunzione di alcool, si parla quasi esclusivamente di vino. Ad essere sinceri, però, questo dibattito a qualcosa è servito, se non altro perché ha fatto riflettere sull’argomento.
Si è smesso di parlare di etichettature strane, proprio in un momento storico in cui l’inserimento di un QR-code permetterebbe di inserire una rassegna completa sia degli avvertimenti sulla pericolosità dell’alcool che dei benefici derivanti da una degustazione razionale di un calice di lambrusco.
Il meglio vino solo a pasto
L’idea dell’etichettatura, copiata dagli irlandesi, ha immediatamente acceso forti dibattiti fra i sostenitori di un consumo moderato e razionale e quelli del consumo zero. Il consumo zero è un dogma scientifico teorico che non necessariamente prevede che chi lo predica debba anche praticarlo (ci sono medici che fumano pur sconsigliando di fumare), ma che soprattutto significherebbe rinunciare ai benefici di un moderato consumo di alcool. D’altro canto il vino non è una semplice soluzione idroalcolica (come i liquori): è ampiamente dimostrato che un’uguale quantità di alcool è meglio tollerata dall’organismo se introdotta sotto forma di vino rispetto ad una soluzione acqua-alcool. Non si dimentichi, oltretutto, che il vino aumenta la secrezione salivare e l’attività dell’apparato digerente, tanto che il periodo di digestione è sensibilmente inferiore in un pasto con vino rispetto ad un pasto del tutto analogo ma in assenza dello stesso. Purtroppo di questo non si è parlato molto, se non ribadendo che il vino è un elemento cardine della dieta mediterranea: contiene polifenoli, antiossidanti, potassio, ferro, vitamine del gruppo B e svolge un’azione cardioprotettiva. In sostanza, il consumo moderato di vino mostra effetti benefici migliori non solo rispetto a chi eccede ma anche nel paragone con chi non ne beve affatto. Da sempre si considera come limite massimo il consumo di un bicchiere di vino a pasto per gli uomini (uno a pranzo ed uno a cena) ed uno solo per le donne, anche se sarebbe più corretto rapportare l’assunzione giornaliera al peso corporeo. L’importante, ed è questo l’aspetto più interessante emerso da questa vicenda, è che il vino, per esprimere al meglio i propri effetti benefici per l’organismo, venga degustato rigorosamente a pasto: più specificatamente, non va assunto a digiuno. Questo sì che dovrebbe essere messo in etichetta.
Non beviamo accuse infondate
In questa recente crociata contro l’alcool non si è parlato dei vini e delle birre alcohol-free, un tema che i produttori (e anche i legislatori) stanno già da tempo prendendo in considerazione. Non si è nemmeno ricordato che negli ultimi cinquant’anni il consumo pro-capite annuo di vino si è ridotto ad un terzo, passando da centoquattordici a quaranta litri, mentre quello di birra è triplicato, passando dagli undici litri del 1970 agli attuali trentasette. Nello stesso lasso di tempo il consumo di liquori è diminuito del 75% ed il consumo totale di alcool (inteso come alcool puro, per dare un minimo comune denominatore alle differenti gradazioni alcoliche di vino, birra e liquori), dimezzato.
Dati interessanti, soprattutto perché evidenziano un comportamento apparentemente virtuoso dei consumatori che, tuttavia, dovrebbe essere valutato più nello specifico. Il consumo pro-capite medio in effetti si ricava dal rapporto fra consumo totale e numero di abitanti: se aumenta il numero degli astemi, anche i forti bevitori danno l’impressione di essersi messi sulla buona strada pur non avendo rinunciato ad un solo bicchiere.
È per questo motivo che andrebbero osservate con attenzione le nuove tendenze di consumo, con particolare riferimento al rito dell’aperitivo (sul quale ci sarebbe molto da discutere, pur con la consapevolezza di risultare impopolari). Quando si parla di consumo di vino rigorosamente a pasto, visti i differenti effetti e i maggiori benefici degli stessi sul nostro organismo, il paragone diventa inevitabile. Non bastano due patatine a rendere “pasto” lo spiluccare prima del rituale calice di vino delle 18.30, così come non è salutare, indipendentemente dalla sua gradazione alcolica, lo smodato sorseggiare di cocktail prima dei pasti. A proposito dei cocktail che prevedono vino, non si dimentichi che se vengono fatti con vino cattivo lo migliorano, ma se realizzati con vino di qualità non possono che cancellarne completamente l’identità e la territorialità, che non è solo alcool ma cultura.