La prima esperienza di Biblioteca vivente è stata realizzata nel 2000 dall’associazione danese Stop The Violence e si è poi diffusa in Europa e nel resto del mondo. A Correggio è stata proposta sabato 28 ottobre, per il secondo anno nell’ambito dei Bibliodays provinciali, dalla Biblioteca comunale.
Se il primo anno il tema era quello delle storie di donne dal mondo, quest’anno ci siamo occupati più nello specifico della migrazione e dell’integrazione, proprio nello spirito del percorso PartireArrivare promosso dall’Amministrazione e legato alle tematiche del viaggio, in tutte le sue declinazioni.
Abbiamo così ascoltato i racconti di donne, ragazze, uomini e ragazzi provenienti da tanti diversi paesi ma anche di giovani italiani che si occupano proprio dell’accoglienza di chi migra verso di noi.
Abbiamo pensato di proporvi, filtrato dalla sensibilità di Gianna Radeghieri dell’Associazione Donne del mondo (che ha collaborato con la Biblioteca per rendere possibile il progetto) un racconto di questa giornata.
Graziano Marani (Biblioteca G. Einaudi)
Quando si parla di una persona della quale non c’è niente di nascosto, una persona limpida, onesta e rispettabile si dice «È un libro aperto». È un gran bel concetto, che unisce il rispetto per la cultura e quello per la persona che si concede al prossimo (nel senso di vicinanza sociale) con tutto il suo vissuto, passato, presente e futuro.
Siccome, per fortuna, non mancano le persone ghiotte di storie, di vissuto, di conoscenza, di umanità e quant’altro, sono stati veramente tanti coloro che hanno approfittato di questa occasione bellissima di scoprire il lato umano, vivo e caldo della questione “immigrazione”. Un tema difficile, che spesso scatena la parte meno nobile di molti animi, soprattutto finché può contare sulla distanza e sul fatto di non associare la questione a delle persone reali, oneste e rispettabili: dei libri aperti.
Stavolta abbiamo avuto l’occasione giusta e gli immigrati «ci hanno aperto il libro» (altra efficacissima espressione popolare nostrana). Così, Nayla ci ha raccontato del suo viaggio in aereo per Roma, di come sia stata abbandonata insieme al marito e ai quattro figli piccoli a Fiumicino con le parole: «Bene, volevate venire in Italia, adesso ci siete. Buona fortuna». Di come siano stati sfruttati dai loro stessi connazionali: gli trovavano lavoro ma si prendevano più di metà dello stipendio, gli trovavano un’abitazione che però era un garage, affittato a caro prezzo, li minacciavano se non riuscivano a pagare l’affitto. E mentre Nayla parla, Maa, la figlia piccola arrivata a neanche un anno, ascolta. Maa è un po’ preoccupata e confida che non ha tanto da dire perché la sua vita è ancora “piccola”, mentre la sua mamma ha tanto da raccontare.
Nayla ha regalato la storia della sua famiglia “in viaggio” ai correggesi che hanno avuto la fortuna di desiderare di ascoltarla. È una bellissima storia, come tante, di brave persone che hanno voluto integrarsi, hanno ricevuto aiuto e si sono anche molto aiutate perché avevano gli strumenti culturali per farlo; è stato un percorso durissimo pur se vissuto con grande dignità. È importante che conosciamo queste storie. I figli di Nayla vanno a scuola con i nostri, sono educati, studiosi e responsabili. Nayla e la sua famiglia non sono più stranieri come prima di questa esperienza, perché li abbiamo ascoltati. La solitudine di chi arriva ma anche di chi chiude occhi e orecchie spesso impediscono questo ascolto. La solitudine genera paura e rabbia che dobbiamo sfogare, individuiamo un nemico, ed ecco che facciamo parte di un gruppo. Finché non toccherà a noi.
Questo a me fa paura.
Nota dolce: Maa ha partecipato come libro e come ascoltatrice di sua madre, visto che non aveva tanto da raccontare. Ha recuperato un pezzo della sua vita che aveva sentito tante volte ma, si è resa conto, non aveva mai ascoltato come qualcosa di cui faceva parte. Credo che la prossima volta avrà molto da raccontare di quello che ha maturato di sé stessa e del viaggio che non sapeva di stare ancora facendo e, se troverà persone capaci di ascoltare, insieme faranno parte di un gruppo che non ha paura. Io ci sarò.