Terra di musica e musicisti

Viaggio tra i borghi natali di alcuni dei più noti artisti nazionali

«Nel mio paese, per piccolo che sia, ci sono tanti gruppi musicali che, a momenti, nemmeno in tutta la nazione ce ne sono così tanti…»

Parrebbe proprio essere questa la realtà che il regista Riccardo Marchesini, insieme ai Palco numero 5, ha pensato di documentare nel suo ultimo lavoro: “Paese mio”.

Il film, presentato dall’associazione “Cinecomio” lo scorso 29 gennaio al Cinepiù, racconta del viaggio compiuto da un gruppo musicale bolognese (i Palco numero 5, appunto) alla scoperta dei luoghi in cui sono nati, cresciuti, formati e tuttora vivono i cantautori emiliani.

«Il progetto nasce dalla constatazione -afferma Riccardo Marchesini- e dall’osservazione del fatto che nella nostra regione c’è una concentrazione di musicisti di successo molto elevata».

È così che ha preso il via il viaggio dei giovani musicisti protagonisti del documentario.

Armati di cartina e pennarello, i Palco numero 5 tracciano l’itinerario del loro viaggio, segnando i nomi dei cantanti che li hanno preceduti nella fama e che hanno mosso i loro primi passi nella musica lungo la via Emilia.

Ed ecco gli amici d’infanzia di Zucchero che stanno ancora tutti a Roncocesi, Beppe Carletti con il primo chitarrista ed il primo manager dei Nomadi a Novellara, gli amici ed il manager di Luciano Ligabue a Correggio, i parenti e l’autista di Orietta Berti a Cavriago. Un passaggio a Zocca davanti alla casa di Vasco Rossi, con il cancello tutto iscritto, ed una citazione per Casadei e la sua orchestra sul lungomare adriatico.

«Probabilmente -è stato il commento di Marchesini a tanta vivacità artistica ed umana- questo territorio ha offerto, più di altri, occasioni di affermarsi a chi desiderava vivere di musica. Si tratta di una zona molto ricca, dal punto di vista degli stimoli culturali, per chi vi risiede. In ogni località c’è una biblioteca, un circolo culturale, un cinema».

Per i Palco numero 5 è stata: «Una bella esperienza, un’avventura nata per caso dalla segnalazione fattaci da un amico che ci ha portato a conoscenza del bando di selezione per una band che volesse partecipare al documentario».

Marchesini ed i produttori cercavano un gruppo composto da giovani musicisti che fossero in grado di eseguire un repertorio proprio ma anche cover dei musicisti citati sopra.

«Abbiamo ricevuto più di un centinaio di richieste di partecipazione -racconta il regista- ed i requisiti per essere scelti erano stringenti. Oltre quelli più strettamente musicali, per essere scelti si doveva provenire da un piccolo paese, proprio come i cantanti e cantautori di cui parla il documentario».

Di tutti i curricula ricevuti ne sono stati individuati tre e di questi il più accattivante è risultato quello dei Palco numero 5.

«Abbiamo affrontato il viaggio e questa esperienza -affermano i musicisti- con l’entusiasmo e la passione di chi si accinge ad intraprendere un percorso di crescita. Per noi si è trattato di una buona occasione per avere visibilità ed anche per metterci in gioco».

La realizzazione di “Paese mio” è costata un anno di lavoro. Contattare i musicisti per le interviste è stata la parte più difficoltosa.

«Riuscire a parlare con Ligabue, in particolare, è stata una vera impresa. -racconta Marchesini- Pensavamo di incontrarlo a Correggio, invece, dopo mesi di contatti, siamo riusciti ad intervistarlo a San Siro, prima del concerto che avrebbe fatto davanti a ottantamila persone. È stata un’emozione unica».

«A noi interessa coltivare al meglio la nostra passione. Pensiamo -hanno concluso i Palco numero 5- che un’altra chiave di lettura del documentario sia proprio questa: raccontare la voglia di suonare e vivere nella musica in maniera differente rispetto a quella che normalmente si vede in televisione, dettata dai talent show, dove si rischia di essere inscatolati in un clichè. L’importante è coltivare un talento».

Dopo Correggio, ben documentato nel lavoro di Marchesini, “Paese mio” sarà presentato in altri luoghi dove la musica possa avere un legame forte con il territorio. Il regista è già al lavoro per trovare il soggetto del prossimo documentario, un genere che non richiama le folle oceaniche da kolossal ma che ha il grande pregio di raccontare le storie che ci coinvolgono più da vicino.

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