Stefano Bonaccini trionfa alle amministrative in Emilia Romagna e si conferma governatore con il 51,42% dei consensi, otto punti in più dell’avversaria Lucia Borgonzoni (43,63%). Al candidato grillino Simone Benini restano solo le briciole, un misero 3,48% delle preferenze.
A Correggio, così come in tutta la provincia di Reggio Emilia, la forbice è ancora più ampia: il presidente uscente ha conquistato il 62,04% contro il 32,08% della rivale.
Questo voto si presta a molteplici letture: per prima cosa, la tornata elettorale sottolinea inequivocabilmente la fine del tripolarismo. Il tentativo dei 5 Stelle di modificare il paradigma della Seconda Repubblica si è scontrato con l’amara realtà dell’esperienza di governo. A questo punto per il Movimento, reduce dall’abbandono della leadership di Luigi Di Maio, si aprirà una stagione nuova, che probabilmente lo condurrà ad una polarizzazione verso sinistra e ad un progetto organico di coalizione con l’ex arci-nemico PD.
In secondo luogo, credo abbia giocato fortemente la natura amministrativa del voto: Matteo Salvini ha personalizzato brutalmente la campagna, marginalizzando la sua candidata perché convinto che bastasse il suo “megafono” a condurre gli emiliano-romagnoli al cambiamento. Il “Capitano” ha tentato di trasformare il voto regionale in un voto nazionale, con il chiaro obiettivo di spodestare l’esecutivo “giallo-rosso”. La realtà, tuttavia, si è dimostrata ben diversa: i nostri conterranei hanno sempre avuto un occhio di riguardo per la gestione del loro territorio ed hanno perciò deciso di riconfermare chi ha garantito continuità amministrativa e servizi di qualità. La mancanza di un’esperienza governativa locale della Borgonzoni, per lo stesso motivo, ha indubbiamente influito.
In questa ottica si spiega anche l’insolito ricorso degli elettori al voto disgiunto, specie fra i sostenitori dei 5 Stelle e di Forza Italia.
Bonaccini è stato riconosciuto dai votanti come un candidato credibile, presente, attento ai bisogni dei cittadini ed alle specificità della sua regione. Inoltre è stato abile a “smarcarsi” dal PD e dalle sue diatribe intestine, presentandosi più come un uomo della gente che come un uomo di partito, fatto apertamente apprezzato dall’elettorato. In questa battaglia è stato agevolato anche dal supporto esterno delle “Sardine”, che hanno avuto il merito di riportare in piazza e alle urne la componente più disillusa del centro-sinistra. La parabola di questo nuovo associazionismo politico è ancora da chiarire: nel medio-lungo termine potrebbe rivelarsi un fuoco di paglia come lo furono i “Girotondi” o il “Popolo Viola”; starà ai suoi portavoce decidere come orientare questo “nuovo” capitale politico.
Molti commentatori oggi parlano di una sconfitta di Salvini. Non riesco a pensare a niente di più ridicolo. Dopo mesi di campagna elettorale priva di contenuti, basata solo sullo scherno degli avversari e sulla strumentalizzazione becera di fatti drammatici come quelli di Bibbiano (dove, peraltro, è stato sonoramente sconfitto), è arrivato ad un passo dalla vittoria in una Regione da sempre ostile alla destra ed ha conquistato a mani basse la Calabria, la Regione più povera d’Italia. Sicuramente ha commesso diversi errori, per certi versi simili a quelli di Matteo Renzi sul referendum costituzionale, che potrebbero segnare l’inizio di un declino. Questo declino, tuttavia, potrà essere possibile solo se i suoi avversari saranno in grado di costruire un’alternativa valida e coesa anche a livello nazionale. Ad oggi, questo processo mi sembra ancora fermo ad una fase embrionale; solo il futuro ci dirà se questa elezione sarà davvero servita ad intraprendere questo percorso.