L’8 maggio scorso gli onorevoli del PD Cesare Damiano, presidente della commissione lavoro della Camera, e Antonella Incerti, che ne fa parte, hanno presentato a Reggio la riforma del lavoro.
Il cosiddetto Jobs act è in corso di completamento attraverso i decreti attuativi dopo la combattuta approvazione della legge di indirizzo nel dicembre 2014.
La “guerra” sull’art 18, caricata di significati ideologici, ha relegato nell’ombra il resto della riforma, che presenta invece molte innovazioni le cui conseguenze pratiche saranno probabilmente più importanti. Due decreti, quelli che strutturano la nuova disciplina a tutele crescenti, sono legge dal 20 marzo.
Con il primo, il contratto a tempo indeterminato diventa la tipologia normale del lavoro dipendente. Come noto, solo per i nuovi contratti di lavoro, in caso di licenziamento illegittimo, non ci sarà più il diritto al reintegro (salvo per discriminazione, se accertata da un giudice) ma un indennizzo da 4 a 24 mesi di stipendio a seconda dell’anzianità del rapporto contrattuale.
Con il secondo decreto si è riformata l’indennità di disoccupazione: un sussidio (NASPI) pari al 75% sull’ultima retribuzione lorda, fino ad un massimo di 1300 € e per un massimo di 24 mesi a seconda del periodo di occupazione; e un successivo sussidio (ASDI) da sperimentare nel corso del 2015 per le categorie in forte difficoltà (ad esempio disoccupati prossimi alla pensione o con minori a carico).
Altri due decreti sono attualmente in discussione alla Commissione lavoro: quello per favorire il lavoro femminile (e intervenire a sostegno delle vittime di violenze) e quello che abolirà molti contratti atipici (“a progetto”). Questo decreto è particolarmente importante perchè regolamenterà le eccezioni al tempo indeterminato, che sono i contratti di lavoro intermittente (o a chiamata) e il lavoro “accessorio” (tramite i voucher), e consentirà di passare da una mansione ad un’altra senza alcun vincolo, fatto salvo il mantenimento della medesima retribuzione.
I restanti quattro decreti dovranno essere approvati entro giugno: riordino della cassa integrazione (che non potrà essere concessa in caso di cessazione dell’attività di un’azienda e dovrà riguardare tutti i lavoratori legandosi alle singole storie contributive), semplificazione burocratica, riordino dell’agenzia delle attività ispettive e politiche per rendere più efficace l’inserimento lavorativo.
Complessivamente si tratta di una riforma ambiziosa, che affronta di petto quella flessibilità che ha creato precarietà, cerca di semplificare il più possibile il quadro normativo, amplia molto la platea dei soggetti tutelati e ha come riferimento analoghe legislazioni europee.
Sarà in grado questa riforma di creare occupazione? Ormai conviviamo con un quidicinale bollettino di guerra dei dati Istat sulla disoccupazione, e le tifoserie alternativamente esultano o contrattaccano per lo spostamento di uno zerovirgola. Cesare Damiano ha più volte chiarito che l’unica considerazione possibile nel breve periodo è che la riforma del lavoro avrà un effetto rilevante nella stabilizzazione dei contratti (anche ad aprile i dati confermano il boom dei nuovi contratti a tempo indeterminato incentivati dalla riforma). Piuttosto, trattandosi per ora in gran parte della trasformazione dei contratti atipici esistenti e poichè il grado di successo della manovra del governo è basata sull’incentivazione fiscale, si potrebbero produrre costi non previsti (se avremo 1 milione di passaggi spenderemo circa 3 miliardi in minori tasse). Per questo, come per gli altri costi pubblici connessi alla riforma del lavoro, occorre poi passare da un’ottica emergenziale (la riduzione dei contributi fiscali per chi assume a tempo indeterminato ora è garantita per i prossimi tre anni) ad una strutturale, in cui il costo e le modalità del lavoro siano resi stabilmente più competitivi.
Tutto da dimostrare invece è l’impatto della riforma sulla crescita occupazionale, che non si può fare per legge e non si può più nemmeno finanziare con l’indebitamento pubblico.
La crescita occupazionale dipende (anche se non segue in modo meccanico la crescita del PIL) dall’andamento degli scambi commerciali mondiali, dalla qualità delle imprese del nostro territorio e dalla ripresa dei consumi delle famiglie, sulle cui aspettative intendono operare le riforme del governo. Bisogna ricordarsi che i primi decreti del Jobs act sono attivi solo dal 7 marzo e la decontribuzione sul costo del lavoro da gennaio. Comunque a marzo abbiamo avuto un piccolo segnale positivo: 92.000 occupati in più nel saldo tra assunzioni e cessazioni. È innegabile che la stabilizzazione dei contratti avrà effetti positivi sui consumi delle famiglie, soprattutto di quelle più giovani, perché allunga l’orizzonte della loro programmazione, consente di fare investimenti e di trovare fonti bancarie di finanziamento.
Cosa dice Antonella Incerti
Ecco cosa ha dichiarato a Primo Piano l’on. Antonella Incerti, deputata, Commissione lavoro alla Camera:
«Penso che la sfida del Jobs act andasse accolta, cominciando a ripensare ai lavoratori più deboli e creando le condizioni affinché le aziende potessero tornare ad investire e soprattutto ad assumere con contratti a tempo indeterminato.
Uno dei primi obiettivi è questo: estendere le tutele a chi non ne ha avute finora e superare la selva delle tipologie contrattuali esistenti. A fronte di un effettivo allentamento delle tutele sul lavoratore (indennizzo economico anziché reintegro in caso di licenziamento) ci sono più ammortizzatori sociali come indennità di malattia e di disoccupazione. A copertura di maggiori tutele sono stati stanziati 1,5 miliardi nel 2015 e 400 milioni nel 2016. A mio avviso non sono ancora sufficienti e su questo bisognerà fare ancora uno sforzo decisivo. Molti punti dell’iniziale proposta sono stati migliorati dal lavoro del nostro gruppo PD in commissione. Ora bisognerà attendere qualche mese e monitorare il mercato del lavoro con attenzione per capire se davvero il nuovo contratto potrà sortire gli effetti sperati»
Cosa ne pensa Giacomo Bertani Pecorari
Abbiamo chiesto un’opinione anche a Giacomo Bertani Pecorari, responsabile economia e lavoro del PD provinciale: «Il Jobs act è una riforma di portata storica. Il lavoro stabile torna ad essere al centro, si ampliano le coperture degli ammortizzatori sociali e per la prima volta si investe convintamente sulle politiche attive del mercato del lavoro.
Questa riforma, coniugata con la strategia fiscale ed economica del Governo, darà un impulso determinante alla ripresa occupazionale e produttiva del paese. Tanta strada è ancora da fare, dato che il terreno perso negli anni della crisi è molto. Ma gli indicatori economici di questi mesi stanno offrendo per la prima volta segnali incoraggianti e ci confermano che siamo sulla strada giusta».