«Ma la bellezza è una pianta ribelle e selvaggia, quando smettete di cercarla vi spunta davanti rigogliosa e inattesa.
Può essere pericoloso fissare con insistenza un paio di gambe che non si muovono se non per un colpo di vento, o due mani fragili come ali di libellula, o una schiena storta e imbullonata di viti: si rischia di innamorarsene».
Sì, perché non è obbligatorio innamorarsi di un corpo perfetto e privo di graffi.
Ce lo ribadiscono, nel reading teatrale Sex & disabled people (Papero editore, 2015), Barbara Garlaschelli e Alessandra Sarchi.
Sono scrittrici, sono donne. E sono disabili, entrambe in carrozzina a rotelle.
Barbara Garlaschelli aveva cominciato scherzosamente a raccogliere una sorta di decalogo del sesso fra “disabilitata e partner non disabilitato”.
Vedendo il consenso scatenato dalle sue riflessioni, ha pensato di raccoglierle ed ampliarle per il teatro, chiedendo aiuto ad Alessandra Sarchi per i testi, a Viviana Gabrini e Luca Garlaschelli, rispettivamente in veste di lettrice e musicista.
Insieme riescono a toccare senza forzature un argomento che rimane un tabù per la nostra società, nonostante il vasto numero delle persone coinvolte.
Come mi dice Alessandra Sarchi, che raggiungo telefonicamente, «quella del corpo e della sessualità è una faccenda allo stesso tempo privata e pubblica, addirittura politica, perché giunge a toccare la questione della gestione del potere».
Negare la dimensione della sessualità dei corpi imperfetti, o vederla in modo morboso, equivale a dichiarare che le persone diversamente abili non esistono, o perlomeno non sotto l’aspetto della carnalità.
Accendiamo la tv e ci troviamo di fronte a giovani senza difetto intenti a bere l’aperitivo al bar, mentre se siamo fortunati quella condizione di perfezione del corpo durerà una trentina d’anni della nostra vita.
Come già detto, sono tantissime le persone che si trovano ad avere a che fare con la questione del piacere da dare e ricevere alle/dalle persone disabili.
E, beninteso, non per forza il piacere deve essere relegato a un ambito coniugale, come di solito si tende a pensare: tutti abbiamo diritto a divertirci e a sperimentare la nostra sessualità senza inibizioni, a usare il corpo senza tabù.
I convegni sul tema, che spesso però si dilungano solamente sull’aspetto clinico, sono gremiti da persone di ogni livello sociale.
Eppure, da noi nemmeno si discute di argomenti come l’introduzione dell’assistente sessuale, una figura che esiste in diversi paesi nordeuropei ma anche nella vicina Svizzera e che ha lo scopo di guidare le persone con diverse disabilità alla scoperta del proprio corpo e nel rapporto con gli altri.
Avere una figura simile in Italia sarebbe «un grande passo, ma sarebbe altrettanto difficile gestirla», anche perché «in Svizzera è un servizio a pagamento, e non tutte le pratiche sono ammesse» (ad esempio, non si possono avere rapporti sessuali completi).
Quando chiedo ad Alessandra Sarchi se è stato difficile misurarsi con un argomento che la tocca così nell’intimo, lei mi dice di no, che probabilmente ci avrebbe riflettuto anche se non fosse stata in questa condizione.
Dopotutto, si è sempre stranieri nella propria pelle.