Sergio Staino: troppo facile il “no”

Lasciamo perdere il NO del 4 dicembre al Referendum Costituzionale, caso a sé. Resta il fatto che, per dirla con Luciano Violante, da qualche tempo nella società italiana si sta radicando un “pregiudizio oppositivo”, che prescinde dal merito delle scelte. Una sindrome del no, insomma, come spirito del tempo: la scelta più facile, che non fa i conti con la complessità dei problemi sul tappeto.
Sergio Staino, scrittore, disegnatore satirico, padre del fumetto di Bobo, ha recentemente pubblicato per Marsilio (e illustrato) un arguto pamphlet, insieme con Chicco Testa, che si intitola “Troppo facile dire di no – Prontuario contro l’oscurantismo di massa”.
Approfitto dell’amicizia, per via dei trascorsi politici, e della sua proverbiale cordialità, e lo sottopongo a questo interrogatorio.

NO-TRIV, NO-TAV, NO-OGM, adesso anche NO-VAX (i vaccini). Ma allora, caro Sergio, il bastian contrario di oggi è chi dice SÌ?
«Direi di oggi e di sempre, soprattutto se quel “sì” non significa una accettazione superficiale della possibile risoluzione del problema ma significa l’accettazione di una verifica. Il “no” significa certezza totale e chiude il dibattito, il “sì” accetta il confronto e mantiene il “no” come possibilità futura. In altre parole il “sì” è pronto a cogliere i cambiamenti, il “no” li esclude a priori».

E perché? La gente non si fida più di nessuno, perché sta troppo bene così?
«Al contrario. Una grande parte delle persone è profondamente scontenta. Scontenti di tutto e di tutti ma soprattutto, anche se non lo dicono, di loro stessi. Non riescono a percepire la fortuna che hanno invece tra le mani. Sono a pranzo e si sentono scontenti di quel che mangiano, senza pensare che già il fatto di avere qualcosa da mangiare nel piatto dovrebbe produrre oggi una grande felicità. Naturalmente non potendo accettare che la colpa di questa scontentezza sia insita nel loro essere, cercano disperatamente di attribuirne la colpa a chi li circonda: la famiglia, i vicini, i politici, i poteri forti in un crescendo veramente apocalittico. Da qui la diffidenza ed il sospetto su tutto e tutti».

La politica, secondo te, segue o fa da apripista? Era presa in giro da sempre per la tendenza al NI. Sposando il NO si è riscattata?
«La politica cattiva si adatta e cerca di trar vantaggio da questa semplificazione negativa del mondo ingraziandosi i più facinorosi. Grillo in questo senso ha fatto da battistrada ma i primi elementi di “grillismo” li avevamo già avuti nei giorni in cui voltando le spalle alla politica, abbiamo guardato verso i giudici più intransigenti e dogmatici».

Da Stalin a Narciso: siamo passati dal socialismo ai social. I partiti con le loro ideologie collettive non ci sono più. Oggi c’è la rete. Irretisce solo i cretini? O siamo schiavi un po’ tutti dell’algoritmo della negazione di massa?
«Stalin era un grande narciso, amava essere amato a costo di far fuori chiunque non si adeguasse mentre purtroppo di socialismo al governo ne abbiamo conosciuto ben poco. L’immagine principale della nostra democrazia della Prima Repubblica rimane Andreotti. In fondo anche lui, come il web, riusciva a contenere dentro di sé il tutto e il contrario di tutto. Il meccanismo di confusione e dipendenza tra l’elargitore e i suoi sudditi in fondo è ancora lo stesso».

Il compagno incazzato è stanco e smarrito. La pecora Fassina è andata. Ma che resta del gregge?
«Parafrasando Mao Tse-Tung potrei dire: che cento pecore fioriscano. È quello che è successo ma la frase di Mao aveva un seguito, “dopo che cento fiori fioriscono” seguiva “che cento scuole rivaleggino”. Ma oggi di scuole non ne vuole parlare più nessuno. L’unico che ha avuto un certo coraggio in questo senso è Recalcati e a lui va tutta la mia simpatia. Ma si possono insegnare certe cose a giovani politici quando al vertice della piramide ci sono degli asini? Certo, asini pieni di idee, pieni di entusiasmo e di grande voglia di fare ma purtroppo sempre asini. Solo una profonda ignoranza del mondo che ci circonda, della sua conoscenza, dei cambiamenti avvenuti, delle lezioni della storia, possono giustificare la superficialità e l’improntitudine con cui oggi si muove, ad esempio, il segretario del PD. Cos’è più utile ad un ruolo di tale importanza? Mettersi a studiare inglese o mettersi a studiare Gramsci? La risposta, ovviamente, è tutti e due. Magari Gramsci tradotto da Piero Sraffa».

Bobo è sulle strisce dal lontano 1979. Non si dovrebbe sentire un po’ in colpa anche lui? E tu, Sergio, con quel cognome che finisce col NO … Cosa puoi dirci a tua discolpa?
«Il mio cognome dice “no” a chi mi domanda “Stai?” ma è una risposta puramente virtuale perché nella realtà ci sto sempre. Con questo sistema qualcosa di buono lo abbiamo fatto: l’aborto, il divorzio, la cacciata di Leone, l’evoluzione democratica della DC e del PCI, le distanze da Mosca, il moralismo di Berlinguer, la sopravvivenza al crollo del muro di Berlino, la scoperta dell’ecologia, della laicità, dei diritti civili, la solidarietà, etc. Su tutto il resto, invece, abbiamo dovuto fare autocritica. Le strisce di Bobo non sono altro che una lunga, profonda, sofferta ma anche per fortuna divertente, autocritica. Ancora oggi, vedi, sto cercando di lavorare con Renzi e già penso a una non lontana autocritica».

Tornerà il buonsenso, come si chiede Chicco Testa? O quando tornerà sarà troppo tardi?
«L’ottimismo della volontà mi fa propendere per la prima ipotesi, il pessimismo dell’intelligenza invece…».

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