“S’cianco” (nome colto “Lippa”) è un gioco antico, arrivato in Europa dall’India nel XV secolo. Si utlizzano due pezzi di legno, solitamente ricavati da manici da scopa o di badile: uno a forma di mazza di circa 50 cm e l’altro, appunto lo s’cianco, di soli 10 cm, ben appuntito da entrambi i lati.
A Correggio lo giocavamo in spazi aperti, onde evitare che nella foga qualche incauto passante, qualche oggetto o finestra venisse involontariamente colpito, visto che già eravamo indagati per la scomparsa di parecchi manici da scopa e di badile dai ripostigli. I più attempati fra i nostri lettori ci hanno senz’altro giocato sulle aie o nei cortili durante la loro gioventù, i più giovani potrebbero cogliere l’occasione per riscoprirlo.
Lo spunto per scriverne mi è venuto dopo aver letto del dilagare del gioco d’azzardo nella società contemporanea. In quei tempi meno tecnologici il gioco poteva causare danni ben visibili, come vetri rotti ed ematomi, tuttavia mai subdoli come la dipendenza e l’impoverimento causati dai videopoker di oggi. Approfittando della pausa estiva degli sport maggiori di cui ci occupiamo, ho pensato di ricordare questo gioco all’aria aperta, e che (udite, udite) ancora oggi ha un campionato nazionale a squadre, regolamentato da ben due associazioni: la “Federazione Italiana Giochi e Sport Tradizionali” e la “Associazione Giochi Antichi”. Famoso anche per la partecipazione a film senza effetti speciali, come “I soliti ignoti” e “Guardie e ladri” di Totò, nonché “Altrimenti ci arrabbiamo” con Bud Spencer, “S’cianco” si gioca in tutta Italia e si chiama in modo diverso a seconda delle provincie: “la rella” a Milano, a Trieste “el pendolo”, a Firenze “arè busè”, “mazza e pivezo” a Napoli, eccetera.
Ricordo il regolamento, nel caso voleste cimentarvi di nuovo o confrontarlo con le vostre diverse modalità di gioco. In Pratina lo giocavamo a squadre di 4 giocatori: 2 erano le circonferenze disegnate sul terreno, una piccola e una grande chiamata “mare”.
Il battitore (all’interno della piccola) batteva con la mazza lo s’cianco in punta alzandolo, urlava a pieni polmoni «S’cianco!» e lo colpiva al volo per mandarlo dentro al “mare” degli avversari: disponeva in tutto di 3 tentativi, dopo di che veniva eliminato. Se lo s’cianco veniva preso al volo dagli avversari, questi dovevano tirarlo con le mani verso il battitore cercando di colpire la sua area per eliminarlo. Il battitore però a sua volta poteva colpire di nuovo lo s’cianco al volo (se non lo prendeva poteva colpirlo da terra per tre volte) e allontanarlo il più possibile. Insomma, il baseball è solo una scopiazzatura di “S’cianco”!
A questo punto la squadra del battitore dichiarava (in numero di “màneg”) la distanza raggiunta. Se la squadra avversaria contestava la dichiarazione, intervenivano gli arbitri che procedevano alla misurazione col bastone ufficiale: se la distanza risultava uguale o superiore al dichiarato il battitore raddoppiava i punti, se inferiore viene eliminato col punteggio di zero punti. Quando tutti i giocatori avevano effettuato il loro turno di battuta le squadre si scambiavano di ruolo. Vinceva la squadra che durante i turni di attacco aveva totalizzato il maggior numero di “mànegh – punti”.
Attimi di nostalgia durante la stesura dell’articolo. Ricordi di tempi spensierati, di trasgressioni moderate ma eccitanti. La voglia di insegnarlo a mia nipote. Immediatamente, mia nipote mi riporta alla realtà: finiti i compiti delle vacanze, nelle imminenza del ritorno a scuola, mi chiede «Nonno posso giocare un po’ col tablet?» Certo che puoi, ma all’aria aperta, come a “s’cianco”. Zanzara tigre permettendo.