«Quel che tu ci desti a mangiar, o villanotto, da oggi in poi nomar si dée “Scarpa di sotto”, perché col piede mio liber te faccio e la brava donna tua bacio ed abbraccio»: con queste parole il principe Siro, l’ultimo dei signori di Correggio, tiene a battesimo, a cavallo del 1600, l’erbazzone di fattura correggese, il nostro SCARPASOT.
È quanto scritto in una storiella di Giulio Taparelli, classe 1918, pittore, scrittore, disegnatore, scultore: tutto così, per suo esclusivo diletto, per “dare forse un senso alla vita”, come dice di sé.
Ebbene, il Gruppo Teatrale Mandriolo, la cui vita è da 45 anni ben piena di senso, nel cortile del Palazzo dei Principi, proprio dove Siro alloggiava, ha rappresentato, con costumi e arredi dell’epoca, la favoletta taparelliana. L’occasione è stata la Giornata del Patrimonio europeo dedicata quest’anno a identità culturale e cibo.
E il nostro Comune, con Museo e Informaturismo, non se la è lasciata scappare: mostra iconografica sullo SCARPASOT CURSESC, laboratorio gastronomico con mani in pasta (pardon, la pasta nello scarpasot non c’è!) per adulti e piccini, poi degustazione finale.
Altolà acquolina: fermiamoci al palato mentale.
La degustazione teatrale, allora, è favolosa: divertente, ironica, di una leggerezza solenne.
Ne parla volentieri Donatella Zini, regista della messa in scena e valente direttore del gruppo teatrale.
«Abbiamo interpretato la favoletta con molto entusiasmo, cercando di costruire il clima dell’epoca feudale nei minimi particolari: la campagna con i suoi prodotti, gli attrezzi della servitù della gleba, i mestieri umili e domestici del contadino Carlo e della moglie Demaride, che vengono casualmente visitati dal principe Siro, durante la sua scampagnata con paggio, principessa e corte al seguito».
Divertiti? Sembra proprio di sì, attori e pubblico. Scenetta breve, ma gustosa. Azzeccata la resa della soggezione di Carlo e Demaride all’autorità di Siro, «pronti sempre ad inginocchiarsi e a chiedere pietà pur senza alcuna colpa»,così come «l’imbarazzo del loro linguaggio popolano e dialettale, difficile da riportare ai toni aulici di corte, generando così strafalcioni ripetuti».
Complimenti al gruppo di Mandriolo, ancora una volta! Bravi!
Ma la trama? Legittima curiosità.
Quando Siro, le dame e i cavalieri, durante la sosta della gita in campagna, chiedono a Carlo, un semplice servo della gleba che vive lì, qualcosa da mangiare, sua moglie Demaride improvvisa l’impasto con un pugno di bietole raccolte al momento.
Spadellato, viene così bene che il principe e la corte se ne saziano estasiati, dopo aver chiesto il bis.
La ricompensa di Siro a Carlo e a Demaride è la libertà, concessa solennemente, poggiando i suoi regali piedi (“scarpati” alla spagnola) sulle spalle dei due umili coniugi prostrati in ginocchio, a guisa di duplice spada.
E così “sotto la scarpa” l’erbazzone viene battezzato e diventa quel piatto regale, principesco, che qui a Correggio chiamiamo SCARPASOT. Che adesso non venga poi in mente a qualche paggio di altre corti gastronomiche, di affermare che il nostro “sacro verde impasto” è fatto… con le scarpe, eh!
Lo mangi, poi, in ginocchio si scusi.
Altrimenti ci arrabbiamo.