Mamma rock. C’è chi la chiama così. Lo sa. E ci ride su. A lei preme il “baby rocker”, il quarto nipote che tra poco vedrà la luce nella famiglia Ligabue. Ottuagenaria splendida, segretamente innamorata di Gianni Morandi e trepidante per la nuova vita in arrivo, mi riceve in casa sua, premurosa. L’avrete capito. È la Rina, la signora Rina Iotti, mamma di Luciano e di Marco, il Liga e suo fratello, per intenderci. Una “rock family” che si presenta da sé.
Bello sentirla parlare della sua vita, dei suoi sentimenti. Una storia d’amore e di fedeltà. Amore per la famiglia, per Correggio, per le amiche. Fedeltà al sapore genuino di una vita che lei ha voluto tenere nei binari della normalità, la stessa di mamme meno rock e meno note di lei. «Con le gioie che ho provato, veri e propri sogni ad occhi aperti, giunta fin qui e ancora in gamba, beh, insomma … ogni giorno che arriva è un regalo inaspettato, tutto da gustare. Davvero, non mi posso lamentare, sono stata fortunata».
Ma non tutto è caduto dal cielo. La Rina ci ha messo anche del suo. Una vita laboriosa. Mai ferma. Comincia la sua luna di miele come commessa nel negozio di merceria del marito in via Montepegni, poi fa confezioni a domicilio già in quella prima casa di Via Santa Maria, frequentata anche dai topi. Cassiera di sera, al Tropical di Rovereto sulla Secchia, balera-discoteca, con Marco di un anno che si addormenta sui divanetti rossi e Luciano ragazzino già preso dall’eco delle chitarre. Poi indaffarata al magazzino del cognato Bruno Ligabue a Carpi. Nel mentre assiste la suocera Ermelina e la mamma, entrambe con lei. E si spende senza tregua per sfoglie, cappelletti ed erbazzone, quelle cose genuine, fatte in casa come le canzoni di Luciano e di Marco.
Rina viene da una famiglia di mezzadri, ha visto la miseria e conosciuto la fatica. Ma musica e ballo l’accompagnano da sempre.
Una passione permanente che le vibra dentro. Galeotto fu il primo ballo alla Coop, lei venuta da Fosdondo, appena sedicenne. Si presenta un giovane, sorridente, simpatico. Il suo Giovi, Giovanni Ligabue, «che dopo quella sera mi è stato a ruota per un bel po’» quando la corte a una ragazza non poteva contare sulla ubiquità di un sms.
A vent’anni Rina convola a nozze con Giovi.
Un amore pieno, bello. «Sento tanto la sua mancanza. Se n’è andato vent’anni fa per un brutto male, ha potuto vivere in questo appartamento dove non manca niente solo per qualche mese. Non abbiamo potuto invecchiare insieme. È il mio rammarico. Ma siamo stati sempre bene.
Ballo, compagnia, tante cose belle, sempre insieme. Un uomo deciso, energico, solare». Amore, matrimonio, nascita dei figli: i momenti magici della vita di Rina, le vette della sua felicità.
«Se non avessi avuto figli, penso sarei andata in crisi, tanta è sempre stata la mia passione per i bimbi, fin da ragazzina. Ne sono arrivati due, a distanza di dieci anni, una benedizione.
E sono stati due buoni e bravi bambini, davvero. Luciano era mingherlino, mangiava poco; ha avuto un’infanzia più tribolata di suo fratello. Pertosse fin da piccolissimo, tonsilliti persistenti con febbri alte, appendicite acuta, occasioni in cui ha rischiato grosso e in cui il pronto intervento di mamma Rina, lo ricorda lui nella sua biografia, è stato provvidenziale.
Lo sai no, che una suora gli diede il sangue a quattro anni e lo salvò? Marco invece da subito era un bel fagotto di quasi cinque chili, più pacioccone, più fortunato, zero problemi di salute. Sai che il nome Marco fu voluto da Luciano? Giovi ed io avevamo pensato, dopo aver preso atto che non era la femmina che ci aspettavamo, al nome Luca. Ma Luciano insisteva: dai, dai, mamma, chiamatelo Marco che mi piace di più! Ancora gli chiedo ogni tanto la ragione. Fatto sta che lo accontentammo».
I due Ligabue sono diversi, si sa. Anche i gusti a tavola, conferma Rina, costretta a fare due zuppe inglesi diverse la domenica quando vengono a pranzo: per Marco con l’alchermes, per Luciano col caffè. «Anche con le donne: Luciano è fatto per rapporti amorosi più classici, Marco più birichino, sciupafemmine. Ah, quando mi portò a casa una biondina svedese e Giovi portava gli amici a vederla! Ho anche sofferto per loro vicende sentimentali, ma devo dire che tutti e due hanno saputo affrontarle con intelligenza e buona volontà.
Ho uno splendido rapporto con i nipoti: Lenny, Linda e Viola. Vengono da me volentieri, io vado ai sette cieli». Rina sente addosso il gran bene che le vogliono i due figli. «Mi trattano come una regina!», mi ripete più volte. «Luciano mi ha sempre voluto ai suoi concerti.
Vederlo sul palco è una grande emozione: San Siro a Milano, Padova, Bologna, l’Arena di Verona, lì sotto, davanti a quella marea di pubblico! Non mi sarei mai immaginata di vivere tali esperienze. Quelle “certe notti”, mi sembra di toccare la luna con un dito!
Ma poi si spengono i riflettori e il giorno dopo sono qui, felice e tranquilla. Tutto normale, come sempre. Guai a montarsi la testa.
E mi pare che anche i miei rocker di famiglia la pensino così. Sai che qui, sotto casa mia, tutte le domeniche c’è la folla dei fan che aspettano Luciano, da mezzogiorno in poi? Lui arriva e si ferma con loro per foto, firme, due battute. Non si stanca mai: mamma, quello che faccio è la mia passione e quelli che mi aspettano lì da te mi consentono di continuarla, dice. Sono orgogliosa del suo successo.
S’è fatto tutto da sé. Lo ha ottenuto con parole oneste, con coerenza. E mi piace che il suo messaggio porti riflessione, sentimenti buoni, perché ce n’è tanto bisogno. Balliamo su un mondo difficile, dove vedo tanta aggressività. Vorrei più rispetto per gli altri, più umiltà, più serietà».
Marco non è da meno con lei, anzi. Anche lui la vuole sempre con sé, lì sotto il palco. Poi le fa fare qualche siparietto da mamma rock su Facebook. «L’altra sera a Modena in piazza alla presentazione del suo libro “Salutami tuo fratello” mi sono tanto divertita. Marco è solare, gioioso, sorride sempre. Un bel carattere, davvero. E penso che abbia avuto del coraggio a buttarsi nel mondo del rock con tanta passione».
Una cosa in comune oltre al cognome i due fratelli rocker ce l’hanno: si chiama forza di volontà. Entrambi lo riconoscono: merito di Giovanni e Rina, che l’hanno saputa trasmettere. Poi due chitarre hanno fatto il resto: quella che papà regalò a Luciano e quella che poi Luciano regalò a Marco. Tutti e due ragazzetti, via a strimpellare.
E poi si sa, riprendendo il titolo voluto da Luciano per la sua biografia …. è andata così.
E i cappelletti Rina? Li fai ancora per la famiglia? «Certo, anche se comincio a fare fatica con la schiena, ma non ci voglio mollare». Eccola, la forza di volontà. Grazie Rina, continua così.