Mi si chiede: a Correggio si fa abbastanza per la cultura?
Ah, se me lo si chiede io rispondo, non son mica uno che sta lì a tergiversare, son più di trent’anni che me lo si chiede, allora io rispondo; però stavolta rispondo a modo mio, perché non siam tutti prosatori. Io nello specifico rispondo a soggetto, che è un modo di fluire di noi teatranti italiani.
Allora vi dirò che secondo meeeeeeeee servono i luoghi vivi. Luoghi dove fare cultura, dove poter fare musica, ascoltare conferenze, socializzare, avere sguardi nuovi, trovare il tempo del racconto e della poesia, divulgare la fisica quantistica ed altre amenità scientifiche, portare alle orecchie un canto che non sia il solito rumore che ogni giorno ci tocca trasportare dentro ai nervi (le solite cose, le solite cose, le solite cose), ma ma ma ma ma ma ma per arrivarci bisogna far nascere una percussione di umanità che si eleva dal quotidiano sudore, riportare l’attenzione all’inaspettato, trovare finalmente la gioia della cuuuuuuuriosità (dio che bello essere curiosi), lasciarsi andare alla meraviglia dell’ozio intelligente e della critica empatica, cercare negli occhi degli altri la luce della domanda e la corsa libera della risposta. Tutto questo non c’è. C’è stato qui, per un periodo proprio qui, per un tempo che forse è stato anche lunghissimo ma che noi abbiamo visto finire quindi non so dire quanto lungo sia stato, ma ora son certo che non c’è qui, non si trova più tra noi tutta questa cuuuuuuuuuuuriosità. Va fatta rinascere? Bisogna dargli di nuovo vita qui in mezzo a noi, sotto a questi portici vuoti, dentro a queste chiese, teatri, palazzi, cortili vuoti vuoti vuoti? Per chi lo dovremmo fare? Ah, perbacco, per i giovani, per le nuove generazioni che poi avranno il compito a loro volta di farlo per le prossime e così via: via, andate via. Sì, proprio via, via di qua: ve ne dovete andare giovani, andate a vedere cos’è il mondo, perché qua di vita, adesso, non ce n’è. Fintissima riproduzione di una tranquillità operosa, di una serenità asciutta, involuzione di ideali comunisti spalmati su Corso Mazzini come una mortadella che si secca al sole del venire al dunque di un capitalismo ch’è capitato a compimento.
Ma voi, però però, li volete tenere qui i gggiovani, volete che restino dentro al borgo, forse meglio a lato del borgo, perché dentro si deve fare silenzio, si deve tacere e comprare, fare acquisti zitti zitti. Allora teniamoli qui i giovani, teniamoli in casa, teniamoli nelle loro camere e diamogli dieci, cento, mille smartellefoni che si smartellino così, sulle gengive. Se neppure così va bene, volete fare un atto di cultura? Prendetegli i telefoni: quei telefoni che costano come un vostro mese di lavoro, quei telefoni che gli avete regalato a nove anni e per i quali siete andati ogni giorno ad obbedire al vostro padrone, dalla mattina alla sera, per un mese intero avete sudato e imprecato per poter dare ai vostri cinni quei pezzi di silicio luminescenti in cui specchiarsi a colpi di tik e tok. Prendetegli i telefoni e saltateci sopra, spaccateglieli davanti agli occhi e poi prendete i vostri figli per mano e uscite. Andate a respirare davanti a qualche laghetto, che poi è una vecchia cava, ma state un po’ lì con loro a guardare quell’acqua ferma e poi ditegli: “…(lunga pausa)… ora figli miei andiamo ad inventarci un posto per voi, un luogo dove voi possiate scoprire che in questo mondo si deve cercare di star tutti bene. Non c’è altro da fare qui se non cercare la felicità di tutto il genere umano, ma proprio di tutto, dobbiamo lavorare tutti insieme per far felice ogni essere che incontriamo nella nostra vita, anche i brontoloni, i noiosi e i rompicoglioni. Tutti devono star bene qui a Correggio. Perché bisogna partire da qui: da Canolo, da Prato e da San Biagio, fino ad arrivare a via della Sirena in centro. Se non facciamo questo, figli miei, a voi toccherà ripartire da ancora più indietro: se non lo facciamo ora a voi spetterà un mondo di analfabeti che ubbidiranno a pochi comandi secchi e si muoveranno richiamati dalle scie degli aromi sintetici”.
Questo gli direi ai miei figli se li avessi, ma non li ho e allora fate come vi pare. E che la cultura sia con tutti voi. Poi se volete ne parliamo, ne parliamo anche in prosa. Ma, per oggi, da un foglio di giornale mi pare non si possa pretendere di più.