Le informazioni sono desunte dall’intervista ai primi gestori del bar Tubino, Giuseppe Altimani e Dimma Losi.
Quando nel primo autunno del 1959, lungo il portico che percorre l’odierno fronte della Banca BPER fino all’angolo di piazzale Carducci, fu inaugurato il bar “Il Correggio”, la soddisfazione si leggeva sui visi sia delle persone comuni che di quelle autorevoli come il notaio Ronca, proprietario del Palazzo, il Sindaco Zanichelli ed il signor Stachezzini, titolare del bar e marito di Nives Altimani. L’intitolazione al pittore Antonio Allegri, lustro della nostra città, già simboleggiava il valore accordato all’impresa; non mancava all’interno, dietro al bancone, un bel ritratto del “Correggio” affiancato da ambo i lati dal suo dipinto “La Danae” e da un particolare di esso. In seguito, l’insegna pubblicitaria “Miscela caffè Tubino”, che spiccava vistosa, oscurò la vera titolazione e ribattezzò per sempre il bar come “Tubino”. L’interno era vasto e accogliente, degno dei rinomati caffè delle grandi città, con un arredo moderno e di pregio. Si pensi che il bancone, collocato nella sala d’entrata, era un’opera di design proveniente dalla Fiera di Milano del 1958. La prima licenza fu rilevata da Nives Altimani, che dal 1959 condusse l’esercizio assieme al fratello Giuseppe ed alla moglie di lui, Dimma Losi. Esercitarono per poco più di quattro anni, poi, nel 1963, la licenza fu ceduta ad un signore di Cremona, che dopo un anno la alienò alla famiglia Radeghieri di Correggio.
Fin dall’apertura il bar ebbe fortuna, la clientela era sempre numerosa. Il locale offriva al pubblico quattro ambienti per stare in compagnia, conversare e svagarsi. L’entrata si apriva in una capiente sala, dove ci si accomodava per sorseggiare un buon caffè e consumare colazioni (molto ambiti erano i cornetti della pasticceria Corradi), bevande e spuntini; all’apertura mattutina, quando i primi lavoranti si accingevano ad iniziare la giornata, il consumo di alcolici era una consueta abitudine. Poi c’erano la sala per il gioco delle carte con sedici tavoli, la sala con due bigliardi e un bigliardino, ed infine quella della televisione, una delle prime acquistate a Correggio, nel 1959. Siccome allora era molto in voga il fumo di sigaretta, queste sale, specialmente in inverno, si riempivano di una coltre densa che nemmeno l’aspiratore riusciva a dissolvere; i vestiti s’imbibivano di quell’odore cui il naso s’era abituato. Occorreva molto personale: oltre agli esercenti erano stati assunti in modo permanente tre camerieri e due donne, addette al solo lavaggio di tazzine, bicchieri e stoviglie. Nelle ore di punta, nelle festività e nelle occasioni di fiere, mercati e sagre, il personale poteva superare la quindicina di lavoratori. Il bar era stato soprannominato “Caffè della legione straniera”, perché frequentato, soprattutto nel dopolavoro e nel dopocena, da tutte le categorie di persone: principalmente erano uomini, notabili o meno, giovani e vecchi, ma anche le donne cominciavano a metterci piede per bere una bibita o un caffè, ma anche per acquistare il biglietto della corriera che partiva da piazzale Carducci.
Per i gestori la giornata cominciava alle cinque di mattina e terminava oltre la mezzanotte, quando si dovevano pulire i locali prima della chiusura. Dimma racconta che, a volte, il marito Giuseppe, costretto in piedi per ore e ore, arrivava a sera coi piedi sanguinanti. Le feste non esistevano: le uniche sospensioni concesse erano di un’ora per festeggiare in famiglia la vigilia di Natale ed un’altra ora per il Capodanno. Per qualche anno, nel periodo estivo, fu ottenuta la concessione Comunale per una distesa all’esterno del bar in piazzale Carducci, sempre molto frequentata. Qui si consumavano soprattutto i gelati, preparati personalmente da Dimma, in particolare il famoso Cri Cri, caratteristico di Correggio perché inventato proprio da lei: si vendeva a trenta lire. «Si diceva che il mio gelato fosse molto buono», aggiunge soddisfatta Dimma, «ricordo ancora quel giorno in cui passò sotto il portico Teddy Reno con Rita Pavone e le gemelle Kessler, che vollero questo gelato. Dicevano di non averne mai mangiato uno così buono e lo addentavano come se fosse una mela».
Alla fine dell’intervista, un ricordo improvviso illumina gli occhi dei signori Altimani: «Quasi dimenticavamo di dire che abbiamo meritato un premio in onore della nostra professionalità. Era il 1960 quando gli agenti della Torrefazione Tubino, in collaborazione con la Camera di Commercio, ci assegnarono la medaglia d’oro per aver venduto il numero maggiore di caffè in tutta Italia. Un riconoscimento che ci inorgoglì e ripagò il nostro impegno».
Il bar Tubino restò sempre un punto di riferimento per la popolazione correggese, ma anche un bacino d’utenza per gli estri artistici e musicali, quali il rocker Little Taver, che “teneva banco” con la sua verve, e l’emergente Luciano Ligabue che, proprio davanti al Tubino, tenne l’ultimo concerto con la sua band Orazero il 1° maggio 1989. In un’intervista Ligabue racconta che il suo primo film Radiofreccia era nato dalle radio libere e dal giro del bar Tubino, e che “la formazione da bar era maschilista, ma segnata da figure mitiche. Ballisti clamorosi. Come Savana, che nel deserto faceva da guida a Rommel; o almeno così raccontava. ‘Savana, da che parte andiamo?’. ‘Io vado di là, te fai come vuoi!’. Ovviamente aveva ragione Savana: ‘Io poi sono tornato; Rommel, non so’. O come Otorino (si chiamava proprio così): sosteneva di parlare con i morti, e girava col registratore con le voci incise. ‘Chi hai oggi, Otorino? Cesare, Napoleone?’. E lui: ‘Oggi ho Berlinguer, sentite, dice: basta con la Russia!’. ‘Otorino, ma sembra la tua voce…’. Ovviamente era sempre lui: la modulava a seconda dell’epoca e del personaggio».
Il bar “Il Correggio”, detto sempre “Tubino”, chiuse i battenti nei primi anni novanta, ma resta tuttora vivo nella memoria della nostra città e dei tanti che l’hanno frequentato.