Questa globalizzazione è da rifare

Uno stimolante Federico Rampini a Primo Piano Incontri

L’America, la Cina, la crisi economica, il futuro. Di politica, economia e società si è occupato Federico Rampini, economista e giornalista di Repubblica e dell’Espresso (l’ultimo suo saggio è “Il tradimento. Globalizzazione e immigrazione: il tradimento delle élite”) in occasione della sua venuta il 6 settembre a Correggio, invitato dal circolo culturale Primo Piano. La sua narrazione dell’oggi, seguita attentamente da un pubblico assai numeroso e ricco di giovani, è partita da lontano, dal 1935, anno in cui uscì il romanzo Qui non può succedere di Sinclair Lewis. In esso si immaginava la sorprendente ascesa, in America, di un dittatore come, all’epoca, stava già avvenendo in molte parti d’Europa.

«Vedo molte analogie con il presente – esordisce Rampini – la crisi economica, le forti disuguaglianze sociali, il desiderio di una figura forte al potere che protegga il popolo dalle avversità della sorte. Ora il presidente degli Stati Uniti è Trump, che non si può nemmeno definire un imprenditore perché la sua fortuna l’ha ereditata e la fama l’ha trovata in televisione. È riuscito a vincere contro la Clinton (nonostante lei in assoluto abbia ottenuto un maggior numero di voti), perché lei non è risultata credibile agli occhi di tutti coloro che fanno parte della classe sociale di operai ed impiegati maggiormente colpita dalla crisi: in fila per raggiungere il sogno americano, con un passo che va sempre più lento e in balia del rischio di essere superati dagli emarginati (immigrati irregolari, minoranze sessuali) agli ultimi posti della fila ma con clamore protetti dalla sinistra. Il loro consenso ai due elementi forti della campagna di Trump, chiusura delle frontiere e guerra commerciale alla Cina, è il rifiuto dell’enfasi con cui la sinistra ha propagandato i benefici dell’integrazione e della globalizzazione, negando i problemi che entrambe hanno creato».

L’America, come molti paesi occidentali, è da tempo spaccata politicamente in due parti; lo spostamento di pochi voti assegna la vittoria. Secondo Rampini, Trump risponde soprattutto a questa classe sociale impoverita e impaurita (la classe col maggior numero di suicidi e uso di droghe è quella dei cinquantenni bianchi che hanno perso il posto di lavoro),  maggiormente concentrata negli stati centrali degli Stati Uniti (quelli che sono sorvolati dalle rotte aeree ma nei quali nessuno si ferma); mentre le due coste (dove vivono le élite, appunto) sono abitate da un’umanità più dinamica, colta, tollerante, aperta anche nei confronti degli immigrati, felicemente inserita nella globalizzazione.

Pure lui, Federico Rampini, ha avuto un passato da migrante, seppure privilegiato, al seguito del padre, funzionario europeo in Belgio nella metà degli anni ’70. «In quegli anni, a differenza di oggi – ha raccontato – il Belgio era un paese intollerante, in cui vivevano molti immigrati, tra cui molti italiani e stranieri di cultura islamica. Tra italiani e mussulmani non c’era molta differenza: tutti desideravano una vita migliore rispetto a quella del paese che si erano lasciati alle spalle. L’integrazione lì è avvenuta, e il paese è oggi tra i più aperti del mondo. A nessuno dei migranti mussulmani di allora sarebbe venuto in mente di compiere attacchi terroristici. Il loro rapporto con l’Occidente è cambiato dopo la rivoluzione di Komeini; da quel periodo hanno maturato il disprezzo per la nostra cultura. Come hanno ribadito i sessanta imam che quest’estate hanno fatto visita a tutti i luoghi degli attentati, si tratta di una questione che i mussulmani devono risolvere al proprio interno. Il sentire comune dei mussulmani moderati e pacifici, è tuttora di una prevalenza della loro religione e della loro cultura. Devono ancora compiere la loro rivoluzione francese».

La Russia ha dato, invece, la sua personale, violenta risposta al terrorismo, come è accaduto in Cecenia.  Si torna a parlare anche qui della figura forte al comando: Putin non è altro che la continuazione della filosofia degli zar, come dimostra l’uso che fa della religione ortodossa. Bisogna poi riconoscere che le accuse di Trump alla Cina sono giuste: è anch’essa una nazione che passa dalla concentrazione del potere nel partito sempre più alla concentrazione nelle mani di una persona sola. Inoltre attua un protezionismo sfacciato delle proprie aziende, nei confronti di quelle straniere. Se si vuole essere imprenditori in Cina, occorre avere un socio cinese e condividere il proprio know how per poi rischiare di venire fregati.

In Europa, dove il potere resta ampiamente diffuso, Macron è una figura politica che si sta rivelando debole e Angela Merkel, alla guida della Germania forse per altri anni ancora, non è più quella aperta e tollerante di qualche anno fa. In Italia i manager alla Marchionne hanno contribuito a creare una organizzazione imprenditoriale feudale che non fa altro che assegnarsi privilegi e depredare le aziende o i contribuenti, prevedendo pure una buona uscita milionaria per i manager capaci di distruggere un’impresa.

Tuttavia si possono apportare dei correttivi, costruire delle regole a questa globalizzazione sbagliata. E l’Italia, i cui politici non hanno alcun seguito appena passata Lugano, è sinonimo di bellezza ed eleganza all’estero e dovrebbe puntare su queste cose per rilanciare la propria economia. In sintesi, la cultura occidentale dovrebbe essere la prima a difendere i propri valori e le proprie istituzioni.

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