Quando non c’era la Playstation

I lunghi pomeriggi dei giochi con le figurine

Attorno agli anni ’60 e ‘70 i nostri miti sportivi erano quasi esclusivamente calciatori, rigorosamente di serie A, salvo rare eccezioni di squadre nobili decadute in B, e li conoscevamo tramite le figurine Panini. Le bustine contenenti i nostri idoli venivano vendute in edicola per poche lire e venivano confezionate manualmente, anche in paesi non lontani dal nostro, da signore che nei ritagli di tempo, a domicilio, riempivano e sigillavano. Il destino delle figurine non era soltanto venire attaccati con la colla Coccoina all’album da collezione, dove peraltro mancava sempre, per completarlo, quella di Pizzaballa (chi mai si ricorda chi era costui?). Diventavano anche la posta in gioco in disfide interminabili tra i ragazzini nei pomeriggi di allora senza social, internet e poca tv, per le contrade del centro. Interminabili partite a sbancata libera, a sbancata a muro e a muro si svolgevano prevalentemente all’aria aperta, sul sagrato di San Quirino, in canonica, sotto i portici vicino all’edicola di Romano Riccò, nelle vicinanze delle scuole. Queste figurine di cartoncino con le immagini dei nostri idoli in pantaloncini corti, in genere già doppie nell’album, erano legate in mazzetti da un elastico e tenute in tasca, un po’sgualcite a forza di giocarci, umide e sporche perché passavano di mano in mano come prigionieri di guerra.
Le regole non scritte erano queste. A sbancata libera il terreno di gioco non era delimitato e la superficie poteva essere di qualsiasi conformazione e consistenza;  i giocatori potevano essere 2 o più, senza limiti se non il buon senso e lo spazio a disposizione; subito si decideva se dovevano essere 3 o 5 le figurine da sovrapporre; poi i giocatori dovevano, con una tecnica personalissima, lanciare una figurina per volta in aria, farla fluttuare e atterrare possibilmente sopra ad un’altra sul terreno di gioco, bastava un minimo contatto. Se il contatto era davvero minimo si sviluppava una discussione feroce, in cui faceva da arbitro il pubblico non giocante. Il primo che raggiungeva l’obiettivo di 3 o 5 coperture si impossessava di tutte le figurine presenti in quella mano sul terreno.
La sbancata a muro si differenziava soltanto per la presenza obbligatoria di un muro contro il quale le figurine dovevano sbattere, prima di cadere e appoggiarsi alle figurine sottostanti. La presenza del muro facilitava e sveltiva il gioco.
Ultima variante, ma non per importanza, il muro. Un muro era fondamentale perché la figurina andava appoggiata ad esso, ad altezza della spalla del giocatore, e trattenuta da indice e pollice, per poi essere lasciata cadere e dondolare nell’aria, come foglia autunnale. Questa scendeva mentre i giocatori trattenevano il respiro. Se fortuna voleva si sarebbe appoggiata su una delle figurine già atterrate sul terreno di gioco e ne avrebbe coperto un lembo.
Come in tutti i giochi qualcuno eccelleva perché possedeva abilità, mira, sangue freddo, stile, resistenza. Si favoleggia di ragazzini campioni in una delle tre discipline, eroi ora quasi tutti nonni, che sono rimasti nella memoria collettiva, possessori di bracciate di figurine. Tutte vinte? Tutte comprate e poi mostrate come vinte? Non si sa. Resta il fatto che Gianni (Savan), Ghesa, Wilson, la Sgheta, il Che, il Plommero vengono ancora, a distanza di almeno cinquant’anni, additati come fuoriclasse di allora nei giochi con le figurine. Ma tanti altri sicuramente ci saranno stati, che io non ricordo e coi quali vorrei scusarmi in anticipo per non poterli nominare. Se poi qualcuno si sentisse veramente defraudato di un titolo a lui spettante e ci tenesse a figurare in un ipotetico albo d’oro, è pregato di contattarmi e di esibire prove inconfutabili.

Condividi:

Leggi anche

Newsletter

Torna in alto