Davvero singolare la professione che svolge Enrico Gavioli: il coach.
Nata negli anni sessanta in America e approdata in Italia da una quindicina d’anni, è una professione difficile da identificare e da comprendere.
Non aspettatevi che Enrico e colleghi vi leggano i fondi di caffè, che prendano spunto dall’osservazione degli astri più o meno lunatici!
No, si tratta di ben altro.
Le loro competenze sono state ottenute attraverso master e corsi di specializzazione specifici o tirocini presso enti di formazione qualificati.
Per comprendere meglio chiedo lumi al diretto interessato, che mi spiega: «La professione di coach consiste nell›aiutare le persone ad esprimere le loro qualità migliori. Cerchiamo di mettere in risalto le loro potenzialità col fine di aiutarli ad uscire da situazioni difficili o a raggiungere obiettivi più alti».
Qual è il percorso che ognuno di noi dovrebbe fare per sviluppare quelle potenzialità che ha, ma che stenta ad utilizzare nel migliore dei modi?
«Con dei corsi che si possono fare sia in forma privata o in gruppo o presso le aziende: si affronta un percorso nel quale vengono affrontati i punti essenziali che si vogliono migliorare (lavoro, famiglia, altro). Questo percorso è spesso suddiviso in varie sessioni rivolte all’aumento della propria autostima, al credere di più in sé stessi, a ritrovare la voglia di fare e mettersi in gioco.
A volte per un problema ben preciso, può bastare anche un solo incontro perché la persona ritrovi la direzione».
Cosa ti ha portato ad intraprendere questa professione sui generis?
«Anche il mio è stato un percorso pieno di difficoltà. Ascoltando, come spesso si fa da adolescenti, la “voce” di altri, mi sono diplomato come geometra e dopo aver svolto per qualche anno la professione, sono diventato amministratore delegato di una società immobiliare.
Queste professioni però non le sentivo mie e alcuni “imprevisti” sul lavoro mi hanno dato la spinta ad uscire dalla routine. Ascoltando quello che sentivo dentro di me, sono riuscito a sviluppare quella che ritenevo essere la mia dote: capire il carattere delle persone e aiutarle a risolvere i punti di debolezza».
Quindi, dopo aver fatto a tua volta un corso per apprendere la professione sei partito…
«… al buio, perché per lavorare devi farti una clientela. I miei clienti sono persone che “sentono” un disagio, ma non sanno come risolverlo e neanche a chi rivolgersi.
Quindi mi sono messo alla prova “provando” con gli amici e poi organizzando un corso. Un psicologo mi ha sentito parlare durante una lezione e mi ha chiesto di farne una ad una classe delle magistrali che si stava diplomando. Da quel momento ha avuto inizio la mia ascesa».
Chi si rivolge ad un coach?
«Chi ha la forza di chiedere aiuto per uscire da una situazione difficile o chi vuole migliorare nelle proprie performance. Chiedere aiuto dai più è visto come un punto di debolezza, invece chi riesce a farlo è perché si vuole bene».
Cosa riscontri di più nelle persone?
«La maggior parte ha obiettivi sfocati, non sa bene cosa vuole dalla vita, ha perso sicurezza.
I miei clienti sono sia persone (senza distinzione d’età), che aziende e in entrambi i casi la “mancanza di focus” è il problema principale».
Da cosa dipende questa confusione d’intenti?
«La società moderna ci porta a fare una vita di corsa. Sempre attivi, sempre in prima linea, senza prendere mai un momento per se stessi. Col tempo aumenta il senso di malessere, diminuiscono le soddisfazioni personali e di conseguenza si perde la bussola: cioè fare quelle cose che ci gratificano».
Cosa farai da “grande”?
«Sicuramente pigerò sull’acceleratore. Il percorso che sto facendo con le aziende mi impegnerà per molto tempo, ma ho in piedi anche corsi con i privati. Di norma (per mancanza di tempo della clientela) le lezioni si tengono per un periodo breve e difficilmente ci sono dei richiami nel futuro. Ora sto cercando di fare corsi che si tengano per più mesi, perché nel tempo si assimilano meglio i concetti».
La soddisfazione maggiore?
«Quando mi arriva un messaggio da una persona che ha raggiunto l’obiettivo che si era prefissata, grazie anche al mio contributo».
Considerato che lavori molto con le aziende, che idea ti sei fatto della nostra classe imprenditoriale?
«Sicuramente c›è una voglia di lavorare unica al mondo. Tuttavia, a mio avviso, c’è da ricalibrare il rapporto titolare/dipendente. Quando inizio il mio lavoro in un’azienda, parto dal titolare e poi passo ai dipendenti.
Entrambe le figure devono avere gli stessi strumenti per crescere insieme e migliorare la situazione. Amo ripetere una frase: “Chi assume un dipendente, oltre a due braccia ha in omaggio il suo cervello”. In ogni persona esiste un tesoro nascosto che se tirato fuori può fare la differenza. Quindi se una persona viene messa nel posto giusto, si sente gratificata e ne trae beneficio l’attività svolta. In questo modo le cose possono cambiare velocemente».
Questa seconda parte della tua vita è improntata soprattutto sulle relazioni personali. Il tuo rapporto con gli amici si è modificato da quando hai cambiato pelle?
«Le amicizie si sono rafforzate. Dal momento che ho dato voce al mio sentimento e faccio ciò che amo, le relazioni (amicizia e lavoro) sono migliorate. Quando provi piacere in quello che fai, trasmetti positività e ne beneficiano tutti quelli che ti stanno intorno. Un consiglio gratuito: circondatevi e frequentate persone che hanno voglia di fare, che credono in quello che fanno, che sono disposte a mettersi in gioco, sicuramente ne beneficerete».
Per chi volesse saperne di più:
www.migliorazione.it