Piccolo Paradiso

Panocia arriva tenendo per mano la sua bicicletta. La strada assomiglia a via Astrologo inzuppata di afa; ma con ogni evidenza non può essere via Astrologo, perché invece di filari di viti e ville si stende solo una brughiera incolta, come doveva essere secoli fa. Anzi, là in fondo, dove si accavallano nuvole di piombo e mugugni di tuono, sembra proprio di vedere agitarsi il bosco di Birnam, la foresta che si muove verso il castello per portare Macbeth all’inferno. Come nell’opera di Verdi, si capisce. Meglio allora voltare qui, per la strada a sinistra. Che se fossimo in via Astrologo (ma non lo siamo) si chiamerebbe Madonna delle Quattro Vie. Come nome ci saremmo anche.

D – Chi è lei? Dove va? Che ci fa con una bicicletta? (interroga un marcantonio piantato in mezzo alla carreggiata, addobbato da soldato dell’antico Egitto)

R – La bicicletta mi può servire anche qui, mi ha sempre portato dove volevo. Ma tu perché sei vestito da comparsa dell’Aida?

D– (risentito) Le domande le faccio io! Dove pensa di andare con la bicicletta?

R – Non saprei. Sono venuto qui in bicicletta, e questo è tutto.

D – Mi faccia vedere il biglietto… Ecco, in fondo a questa strada lei prende a destra. Il suo posto si trova da quella parte.

Panocia, che è un uomo pacifico, inforca con difficoltà la bicicletta («Eh, la mia circonferenza è proprio aumentata!») e suda lungo quella che non è Madonna delle Quattro Vie. Ma pensa: «Se vado a infognarmi in via Oratorio mi aspetta un purgatorio di preghiere e confessioni». Così appena può imbocca una carraia nella direzione opposta. E subito il panorama cambia, appare un accenno di arcobaleno e l’aria si fa lieve lieve. Perfino il sudore svanisce. Una freccia indica “Piccolo Paradiso”: gli agriturismi da un po’ di tempo spuntano come funghi. E poi questa campagna di Correggio lo è davvero, un piccolo paradiso.

D’improvviso si trova davanti al ponte di una cascina, e sul ponte staziona una piccola folla in attesa. Ognuno ha in mano una prenotazione che alcune guardie («Toh, sembrano uscite dal Rigoletto di Verdi») controllano con severità.

Panocia fa finta di niente. Come quella volta al Bolshoi, quando si intrufolò senza biglietto. Guarda dritto davanti a sé e non dà retta ai richiami, non lo riguardano. Deciso, senza nessuna esitazione, come fosse la cosa più normale del mondo, attraversa il gruppetto e la soglia. Un guardiano, che pensa alle sue sfighe, come può essere sicuro che quel tizio distinto, con gli occhiali cerchiati d’oro, non abbia l’invito per entrare? E poi bisogna fare fronte agli altri. Basta un attimo di esitazione: Panocia e bicicletta sono dentro.

 

D – Buon Dio, lei come ha fatto ad infilarsi senza biglietto?

Se non fosse che suo padre faceva il mugnaio e gli ha insegnato a stare coi piedi per terra, Panocia penserebbe di essere al cospetto di San Pietro, proprio come se lo ricorda (in vestaglia e con una gran barba) nei santini di cui sua madre faceva collezione: colorati, dentellati, con la preghiera stampata dietro.

È sempre una buona tattica rispondere con una domanda ad una domanda scomoda:

R – Cos’è questa musica?

Perché da lontano, diciamo in direzione di San Martino Piccolo, viene un’aria che subito non riconosce («Eh, l’udito ultimamente non è più il mio forte!»). Mano a mano che si avvicina e cresce, però, riconosce l’habanera dalla Carmen di Bizet: canta la Tebaldi, potrebbe scommetterci.

D – Fanno le prove per la rappresentazione di questa sera. Qui ogni sera cambiamo opera

R – Dici sul serio? È un paradiso

D – No: è “il” Paradiso. Non ha incontrato gli angeli guardiani?

R – Ah, quelli vestiti in modo così strano

D – Sono cherubini, solo che a tempo perso fanno le comparse nelle nostre rappresentazioni. E non ha visto la freccia?

R – Credevo fosse l’indicazione di un ristorante. In realtà non ho mai pensato di arrivare in Paradiso; magari in Purgatorio sì

D – Vero. Lei è destinato al Purgatorio. Ma non so come, si è infiltrato in Paradiso. Deve capire che solo le anime degli artisti arrivano direttamente qui. Il Piccolo Paradiso è riservato a loro. È il premio per tutti i momenti di serenità e di allegria che hanno saputo donare in vita alle persone, e così facendo le hanno sottratte al rancore e alla stupidità. Ha compreso? Mi perdoni, adesso devo farle l’interrogazione di rito. Lei è un artista?

R – Sono amico di tanti cantanti lirici. Tenori, per lo più. Perché a Correggio erano loro i divi. Mica come a Milano che stravedevano solo per i soprani e i mezzo-soprani. Ho anche inventato un premio della lirica

D – Questo non è previsto nelle specifiche del questionario. Non ha fatto qualcosa di meglio?

R – Guarda Pietro (perché ti chiami Pietro, vero?), io mi accontento di un posto in loggione. Da lì si sente meglio e mi sembrerà di essere tornato giovane

D – Il loggione è il primo posto a riempirsi. Comunque dovremmo farla passare per un artista, altrimenti i Sindaci Revisori mi creano delle grane. Ci pensi bene: nessuna attività artistica?

R – Purtroppo ti devo dire che la mia carriera di tenorino è finita con la perdita della voce bianca, sai come vanno queste cose…

D – Il problema è quale definizione riportare sul modulo. Non ha coltivato altre attività artistiche in senso lato?

R – Beh Pietro, se “in senso lato” hai solo l’imbarazzo della scelta: un artista dell’imbucata, della “baràca”, della briscola…

D – No, no. Non sono contemplate dal legislatore… se poi la cosa va a finire sui social, sa che casino!

 

«Questo è un artista della simpatia, lo possono testimoniare tutti. E i tanti momenti di serenità che ha regalato alla gente valgono come gli altri!» A perorare la causa è arrivato un armadio di tenore con un fazzoletto bianco annodato al polsino, che poi lo abbraccia: «Panocia amico mio, finalmente!» («Insomma, finalmente… Potevi aspettare un altro po’» pensa il nostro). È Luciano Pavarotti, che subito lo prende sottobraccio portandolo via da un San Pietro ancora perplesso. «Una partitina a briscola? Qua ci stanno grandi artisti, ma come giocatori sono delle “flenghe”. Meno male che adesso sei arrivato tu». E la divina voce del maestro canticchia “All’alba vincerò”

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