Perché mi piace Michele

Michele Serra presto a Correggio con primo piano

Michele Serra è giornalista, scrittore, umorista. Ha fondato e diretto Cuore, il settimanale di satira politica. Da tanti anni scrive per Repubblica e l’Espresso, dove cura rubriche molto seguite. Ha composto testi per spettacoli e serie molto popolari, in teatro e in tv. Tra saggi e romanzi, ha scritto diversi libri di successo. Insomma, non fa altro che scrivere. Quando parla, tuttavia, si dice sappia quel che dice. Alla terra reggiana, lui che viene da Roma e da Milano, è legato da affetto e simpatia. Soprattutto per i nostri cappelletti.

 

In un vecchio film, Woody Allen elencava le cose «per cui vale la pena di vivere»: Groucho Marx, Joe di Maggio, la Jupiter di Mozart, le mele e pere di Cézanne, le sue. Ognuno avrà il suo elenco, e certo non intendo mettere nel mio Michele Serra, figuriamoci, ma la sua Amaca quotidiana, questo sì, mi basta per legittimare l’acquisto del giornale. Ci sono giorni tanto rognosi che il giornale manco lo apro, oppure sfoglio le pagine con la testa altrove, ma la sua Amaca no, quella la vado subito a leggere, e poi via con la porca esistenza.
Capita anche che sia loffia, o che tratti di argomenti che non mi interessano per nulla – non è mica sempre domenica, caro mio – ma più spesso capita che da queste poche righe esca fuori una perla rara. E per un momento la porca esistenza appaia stranamente leggera… e un momento non è poco, giuro.

Ma cos’ha di speciale il nostro caro Michele? Questo ha: la capacità di trovare le parole che un ragioniere come me faticherebbe a trovare da solo. Quando le leggo mi dico: ecco, questa cosa l’ho sempre pensata, ce l’avevo sulla punta della lingua. L’esito sembra venir naturale, quando il discorso è spiano, accessibile a chiunque e condito con ironia, argomenti pacati e toni discorsivi, quelli che si trovano a tavola, dopo aver ben mangiato e bevuto. Naturale è anche sentire che il suo cuore batte dalla parte giusta, che ora capisco è sempre stata la mia. Così, anche quando sostiene posizioni che non condivido, finisce che ne debbo riconoscere le doverose buone ragioni.

Pane al pane e vino al vino, beninteso, l’eventuale duro giudizio è ben presente, e non scolora in un generico volemose bene, ma senza ricorrere alla caciara concitata, livorosa, maliziosa, sempre tesa a sputtanare i luridi interessi dell’avversario, cui ci hanno abituato i talk televisivi, i titoloni di certa stampa, gli interventi dal palco o dai seggi del Parlamento.
Non conosco la sua gioventù, che sarà stata di sicuro scriteriata, e condita di feroce sarcasmo; ancora adesso dirà che lui si occupa di satira. Glielo lascio dire, ma quando lui stesso riconosce che con l’età molte sue certezze si sono offuscate, io penso invece che abbia conquistato la saggezza.
Indubbio indizio di saggezza, la brevità delle sue Amache. Il saggio lo sa che quando si ha qualcosa da dire, anche di massimi sistemi, non è il caso di farla tanto lunga. Anche per questo, adesso la faccio finita anch’io.

 

Il selfie, la foto di sé, o meglio il suo abuso ossessivo, può essere assunto come spia dell’attrazione fatale per l’ego. Società e politica sono spesso segnate dal vezzo dell’io. La rete del web, poi, offre percorsi e platee a buon mercato. Mentre il noi, sforzo e piacere di condivisione vera con l’altro, sembra ridursi a pronome obsoleto. Michele Serra, con la rubrica “L’Amaca” su Repubblica, da tre lustri affonda la sua penna nelle pieghe di questo trend. Punture di spillo, proposte con garbo ed ironia, che ci tengono svegli, con tanta voglia di ritrovare il noi.

 

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