Mi ha fatto piacere, quando sono stato con voi a Correggio, nell’ottobre scorso, vedere come curate con passione il mensile Primo Piano. Un giornale di comunità che vuole promuovere il valore e il piacere della lettura e della scrittura. Per questo rispondo volentieri al vostro invito, riproponendovi una mia riflessione personale sul piacere della lettura.
Ho letto molti libri, alcuni per intero, altri parzialmente. Qualcuno l’ho lasciato dopo le prime pagine. Con l’esperienza ho imparato a riconoscere i libri che mi piacciono, i soli che valga la pena di leggere per davvero. Diceva Franz Kafka: «Se il libro che stiamo leggendo non ci colpisce come un soffio di vento nel cranio, perché annoiarsi leggendolo?… Un libro dev’essere l’ascia che spezza il mare ghiacciato che è dentro di noi».
A dispetto di questa prolungata esperienza, per rispondere alla domanda del perché si legge, mi viene spontanea la domanda opposta: perché si scrive?
La risposta più semplice è quella razionale: la scrittura è la forma migliore di comunicazione, per ora insuperata per diffondere informazioni, suggerire emozioni, stimolare reazioni. Ma la scrittura, ecco il punto, è anche una forma artificiosa di comunicazione, diciamo pure innaturale: piccoli segni che per convenzione hanno un certo suono e che, raggruppati in parole e poi in frasi, assumono un certo significato.