Il PNRR non ha dato le risposte che ci aspettavamo e ci auguriamo che il Governo faccia di più». La giornalista, divulgatrice, esperta di ambiente a partire dalla risorsa Mare, Donatella Bianchi, volto notissimo della tv con “Linea Blu”, è presidente WWF e molte altre cose che la impegnano in quanto voce autorevole sulle politiche ambientali. Ha risposto alle domande di Primo Piano, intorno a Ferragosto, nei giorni più caldi di quest’estate. Una stagione in cui abbiamo visto nello stesso tempo la terra sommersa dalle inondazioni e arsa dagli incendi, anche in Italia, per surriscaldamento, incuria ed eco-reati. Il clima della Terra è un’emergenza. Negli stessi giorni il rapporto dell’ONU ha rilevato che gli obiettivi di Parigi sono lontani e che, per salvaguardare il pianeta, occorre dimezzare le emissioni di gas serra entro il 2030, per portarle a zero nel 2050.
Donatella, quali sono le misure più urgenti da assumere a livello di Nazioni del mondo per il clima del Pianeta Terra?
«L’ultimo rapporto dell’IPCC conferma che gli esseri umani hanno alterato irreversibilmente il clima del Pianeta. Sappiamo perfettamente quello che dobbiamo fare, è scritto negli accordi di Parigi e in tutti i report che da decenni la scienza mette a disposizione dell’umanità. Il vero problema non è “cosa fare” ma “quando farlo”. Non c’è più tempo da perdere: si deve passare dalla discussione all’azione».
In che misura possono influire i comportamenti individuali?
«Abbiamo ancora l’opportunità di invertire la rotta, anche se le nostre chances si assottigliano man mano che passano gli anni. Serve un’azione urgente e forte per ridurre drasticamente le emissioni di anidride carbonica e ripristinare la natura. Ma per vincere una sfida come questa è necessario uno sforzo straordinario che deve riguardare tutti. Non raggiungeremo il nostro obiettivo senza le istituzioni, le aziende e le persone con i loro comportamenti individuali. Senza un’assunzione di responsabilità individuale nei consumi e nei comportamenti di tutti i giorni non raggiungeremo il nostro obiettivo. Il nostro atteggiamento rispetto alla mobilità, all’utilizzo del monouso fanno la differenza».
E qual è il contributo specifico che possono dare città con una storia di sensibilità ambientale come Correggio?
«Gli esempi sono importanti. Vedere che è possibile seguire le regole della sostenibilità e che la sostenibilità è un sinonimo di benessere per le comunità e le persone è certamente un’iniezione di energia positiva, una forte motivazione a superare i modelli che ci hanno portato a questo punto».
C’è chi traccia connessioni tra Pandemia ed emergenza climatica, lei cosa ne pensa?
«Le connessioni tra la nostra salute e quella del pianeta sono evidenti. Una grandissima parte delle malattie infettive che hanno afflitto e affliggono l’uomo – tra cui il COVID-19 – sono trasmesse dagli animali. Il 60% delle malattie infettive umane e circa il 75% di quelle emergenti, che hanno colpito l’uomo negli ultimi 10 anni (come la malattia del Nilo occidentale, la SARS, l’influenza suina A H1N1), sono di origine animale. L’inquinamento dell’aria e dell’acqua, i cambiamenti climatici, la distruzione di habitat prioritari, tra cui le foreste e le savane per fare posto a pascoli e monocolture destinate a produrre mangimi animali, l’alterazione dei cicli bio-geochimici, la resistenza agli antibiotici: sono tutti fenomeni che dimostrano concretamente a che livello di insostenibilità sia giunto l’attuale sistema zootecnico».
Nel maggio 2020 lei è entrata a far parte del comitato di esperti in materia economica e sociale, presieduta dal Ministro Vittorio Colao, per organizzare la ripartenza italiana, ed è stata indicata per le valutazioni ambientali. Quali sono gli impegni più significativi, dal suo punto di vista, che il Paese può assumere nel PNRR a livello europeo in tema ambientale?
«Il PNRR è certamente un’opportunità di rilancio per il nostro Paese dopo una crisi sanitaria, economica e sociale violentissima. Purtroppo dal punto di vista ambientale il bicchiere è mezzo vuoto, perché non si è fatto abbastanza per garantire la tutela e la ricostruzione della natura distrutta. Si fa largo un’idea di transizione ecologica basata sulla tecnologia e che ha come oggetto principale la produzione di energia. Ma la transizione ecologica deve ruotare intorno alla quantità di natura che riusciamo a ripristinare per la nostra sicurezza, per rispondere alla necessità di adattamento ai cambiamenti climatici e per garantire il nostro benessere. Su questo il PNRR non ha dato le risposte che ci aspettavamo e ci auguriamo che il Governo faccia di più».
Lei è un punto di riferimento per quanto riguarda la Risorsa Mare, che conosce e ha approfondito sotto tutti gli aspetti, anche quello dell’economia del mare. Come conciliare una tutela delle risorse primarie e finite con un turismo non invasivo, una economia sostenibile, le opportunità di sviluppo e di lavoro?
«Di solito il mare è considerato semplicemente un posto meraviglioso dove andare in vacanza. Lo è, ma il mare genera anche un’economia, la cosiddetta blue economy, che è cruciale per il nostro Paese, non solo in termini di turismo ma anche di trasporti commerciali. Eppure nelle istituzioni, anche negli ultimi mesi, il mare è stato il grande assente dal dibattito. Il contributo dell’economia del mare al PIL nazionale è quasi doppio rispetto a quello della produzione di mezzi di trasporto e, con l’indotto, è di poco inferiore a quello dell’intero comparto agricolo. Esistono quasi 200.000 imprese italiane blu (circa il 3% del numero totale delle imprese) con una forte connotazione giovanile. Il 10% di queste, infatti, è stato avviato da under 35, e il 20% del totale è guidato da donne. Queste imprese producono annualmente beni e servizi per un valore di oltre 43 miliardi di euro (oltre il 3% del PIL totale), con un trend in continua crescita, nonostante il quadro economico complesso anche prima della pandemia. L’economia del mare è ancora più importante in termini di occupazione. Complessivamente in Italia lavorano nell’economia del mare circa 900 mila addetti, ma le previsioni a livello europeo, parlano di 5 milioni di nuovi posti di lavoro in Europa nel prossimo decennio, di cui 400-500 mila solo in Italia».
Questo riguarda anche la terraferma e le terre emerse. Dal 2019 lei è presidente del Parco delle Cinque Terre, patrimonio Unesco dal 1997, una volta terra di pescatori e agricoltori. Tutte le nostre aree interne vivevano una volta di vita propria. Il Centro Italia oggi è in parte museo, in parte distrutto dal terremoto. È possibile pensare per queste aree di grande bellezza, ad un modo di viverle reale, durevole e sostenibile?
«Se c’è una cosa che ci ha insegnato la Pandemia è che le nostre abitudini abitative possono essere modificate. Molti borghi sono diventati meta di smart workers che hanno deciso di lasciare le città. Oltre al turismo e alle produzioni agricole tipiche molti territori dovrebbero investire sui servizi e sulla qualità della vita, che sono vere e proprie calamite per chi vuole abbandonare la frenesia delle città».