Questo ascensore è vietato agli ebrei, ai negri e ai cani…
Questa era la targhetta che si trovava vicino agli ingressi degli ascensori negli edifici a più piani delle nostre città italiane.
Siamo nel 1938, in Italia, dopo la promulgazione delle leggi razziali contro gli ebrei.
A Carpi, dove visse Odoardo Focherini (1907-1944), forse di targhette come queste non ce n’erano, ma le leggi razziali arrivarono anche qui, e i cittadini italiani di “razza ebraica” persero, dall’oggi al domani, tutti i diritti e la libertà.
Odoardo nel 1938 aveva 31 anni, era un cattolico apostolico romano, padre amorevole che giocava con i figli al rientro dal lavoro e marito esemplare, giornalista che collaborava con L’Avvenire e decise, con un’autonomia di giudizio senza precedenti per quei tempi (considerando che erano i tempi in cui i cattolici accusavano ancora gli ebrei di deicidio) di partecipare alla rete clandestina di soccorso che operava in provincia di Modena per aiutare i perseguitati dalle leggi razziali naziste.
Salvò 106 ebrei da morte certa, dichiarando a un parente recatosi a trovarlo in carcere che «se tu vedessi come trattano gli ebrei qui dentro, ti pentiresti di una sola cosa: di non averne salvati di più».
Perché Odo, come si firmava nelle lettere dalla prigionia, dopo anni di impegno, venne arrestato presso l’ospedale di Carpi l’11 marzo 1944, passò dal campo di transito di Fossoli, poi da Bolzano con destinazione finale il campo di concentramento di Hersbruck, in Germania, dove morì il 27 dicembre 1944.
Quella di Odoardo è stata una resistenza cattolica che non aveva le caratteristiche dell’antifascismo militante di recente memoria con cui, nelle nostre terre, siamo stati abituati a convivere, fatta di armi, imboscate, nascondigli, battaglie
Si trattava di una scelta di vita adottata dopo l’8 settembre 1943 da parte di tutti quei giovani cresciuti negli oratori e nelle parrocchie e che decisero di aiutare gli altri per un amore incondizionato verso il prossimo, verso l’uomo stesso, mossi da un impulso di insopprimibile umanità che li portò a rischiare giornalmente la vita per la libertà del paese e la protezione dei più deboli.
Odoardo era così fin da giovanissimo: un leader carismatico dedito alla cura degli altri.
Ce lo racconta, attraverso un libro e una serie di video interviste, proprio la primogenita Olga (1931-2008), maestra elementare, dopo essersi data l’obiettivo, dagli anni ‘50, di risistemare, codificare, studiare e conservare le 166 lettere che il padre scrisse dalla prigionia, arrivando a creare l’Archivio della Memoria di Odoardo Focherini, insignito della medaglia di giusto fra le Nazioni dallo Stato di Israele (1969) e della medaglia d’oro al merito civile (2007), poi beatificato dalla Chiesa cattolica nel 2013.
…perché in quegli anni #essereresistenti non significava solo imbracciare le armi e combattere, ma anche operare quotidianamente nel mutuo soccorso degli altri, di quegli esseri considerati dalle leggi razziali senza diritto di vita.