Diciamocelo: siamo abituati ad avere molti talenti nella nostra piccola patria. Oggi parliamo di tre ragazzi che hanno fatto della loro passione una ragione di vita. Loro sono i Valerian Swing, gruppo composto da Stefano Villani alla chitarra, Davìd Ferretti alla batteria e Francesco Giovanetti alla chitarra baritona. Sono nati circa 15 anni fa, tra i banchi del liceo Corso, quando andavano di moda i pantaloni a vita bassa, le canottiere da basket e il nu-metal: l’apoteosi del testosterone. Oggi, dopo circa un mezzo migliaio di concerti, una decina di tour in tutta Europa ed un paio di tour americani, esce il loro quarto album, Nights.
«L’abbiamo registrato con Raffaele Marchetti – amico e fonico finalese di enorme talento – e Matt Bayles – produttore americano che lavora con noi dal 2010 – tra Gattatico, Veduro di Bologna e Seattle. I brani sono stati composti tra Budrio di Correggio, Berlino e San Juan (Porto Rico)».
Da dove viene l’ispirazione per il vostro nuovo lavoro?
«Nights non ha un’ispirazione ben precisa: come in ogni altro lavoro precedente, la nostra musica è un gigantesco flusso di coscienza, senza alcuna restrizione di sorta; da buoni emiliani metereopatici, l’averlo composto immersi nella fittissima nebbia che cinge la sala prove sicuramente ha influito. Sicuramente hanno anche influito i nostri artisti preferiti, ma il livore autunnale e la solitudine di via Imbreto hanno avuto un ruolo preponderante nella scrittura di questo ultimo disco».
Come è andato il tour?
«Dopo aver deciso – assieme all’ufficio stampa e le nostre labels – la data di uscita di Nights, abbiamo immediatamente programmato un tour di due settimane che ha toccato Gran Bretagna, Francia, Belgio, Germania e Danimarca. I risultati sono stati una pedaliera persa e poi ritrovata (Orleans, FR); due giacche smarrite (probabilmente a Manchester, UK); un portafoglio rubato (Kiel, GE); cambio meccanico del furgone rotto (Anversa, BE); dieci concerti su quattordici sold out; mangiato dove Prince e David Bowie hanno suonato (uno dei motivi per i quali abbiamo programmato questo tour è stato il fatto che ci hanno chiamato al Colossal Festival di Copenaghen, un evento mastodontico per ogni appassionato di musica. Ed il nostro backstage era esattamente la sala concerti in questione); abbiamo conosciuto un sudafricano di nome “Morte” (Londra, UK); due membri del gruppo non si sono lavati per 6 giorni (non si fanno nomi)».
Cosa bolle in pentola per il futuro prossimo?
«In pentola c’è tutto il tour Italiano: da qui a Natale gireremo praticamente tutta la penisola. E poi un altro tour europeo ed uno giapponese a novembre. Nel 2018 puntiamo a consolidare ciò che sin ora abbiamo creato, continuando a suonare, magari ancora negli States, oppure cercando nuove mete, come Cina oppure Australia. Vedremo».
Cosa c’è nella vostra playlist? Ci consigliate qualcosa da ascoltare?
«Ascoltiamo molta musica estera: vi possiamo consigliare l’ultimo di Bon Iver, l’ultimo di Oneohtrix Point Never, ed i PinkishBlack. Anche la scena musicale italiana è vivissima, ed è solo la pigrizia dell’ascoltatore medio che fa sì che non ci sia il minimo interesse verso tutto quello che di buono c’è e si sta facendo. Ci sono band incredibili, che godono di grandissima fama all’estero, come gli Ufomammut, oppure realtà italiane solidissime e con un grande seguito. Ve ne citiamo quattro, due correggesi, una reggiana ed una bolognese: Gazebo Penguins, Rifkin Kazan, Murubutu, Ornaments. Se non ne conoscete nemmeno una, magari un paio di domande fatevele: mai giro su youtube potrebbe essere più azzeccato!»