In natura la sua vita media è di poco superiore ai dieci anni.
Ma se il lupo è azzurro ed è perdutamente innamorato di una gallina arriva a quarant’anni e se la passa ancora bene.
Parliamo di Lupo Alberto, classe 1974… ma non li dimostra.
A Correggio, la città che ai Lupi ha dedicato anche una via, il nostro Alberto è di casa, fin dal suo primo guaito.
Tra dicembre e gennaio è tornato, accolto addirittura in Comune dal Sindaco e da tanti amici e lì, nel Palazzo municipale, ha fatto per un mese intero piena mostra di sé. La sua storia, le gigantografie dei suoi colleghi bestiali, le strisce con le sue rocambolesche avventure hanno attirato uomini, donne e bambini. Un successo.
E così, noi, Paolo, Sico e Giulio, tre amici al bar, correggesi, suoi affezionati tra i tanti, siamo andati a Milano a trovare Guido Silvestri, Silver, il geniale creatore del fumetto che ha dato vita a Lupo Alberto e che lo ha alimentato amorevolmente per i suoi primi quarant’anni.
Una giornata da lupi, ma arriviamo puntuali nel quartier generale di Silver.
Silver abita al primo piano e noi, inviati speciali di Primo Piano, si va a nozze. Ci accomodiamo in una sala che ospita tutto l’immaginabile del merchandising albertiano, dai peluches, alle pantofole, ai portachiavi, ai dentifrici. Mai visto un lupo così invasivo e multiforme.
Eccolo il nostro Guido, sorridente e gentile. Ci riconosce benissimo, ricorda gli amici comuni e sta con noi per un paio d’ore. Volevamo farti la classica intervista, Guido. Ma come si fa? Di colpo, da tre amici si è in quattro. Conversiamo e basta. Bellissimo! Che musica, ragazzi!
Ritornano fuori quei primi mitici anni sessanta. In quel tempo, Guido Silvestri viene ad abitare in via Raffaello Sanzio a Correggio, trasferitosi con genitori e fratello da Modena. Ha otto anni.
«Mi sembrava di essere capitato nel vecchio west. Le strade ancora polverose, niente filobus, niente Standa e la modernità della città estense già sperimentata che mi lascia lì, naufrago, solo. Era novembre. Stufa a legna e freddo, freddo. Un impatto sulle prime sconfortante. Poi le compagnie, gli amici e il gusto della libertà. Gite in bicicletta a non finire, scorribande di ogni genere, vita di strada a sazietà e poi viene la bella estate con i memorabili bagni nei canali» di cui Guido ricorda i nomi meglio di noi, che pure, allora, eravamo più indigeni di lui.
Poi alle superiori, rieccoti Modena. Guido si iscrive all’Istituto d’arte Venturi e ricorda la corriera delle “Autolinee Ferrari”, dove il papà faceva l’autista.
«Si passava tutti i giorni da Campogalliano, da San Martino e lì osservavo la campagna padana in lungo e in largo, con gli animali vaganti nei cortili. Ecco lì Marta, la gallina amata. Ecco Mosè, il cane da guardia. Ecco la fattoria Mc Kenzie, con il suo regolare disordine».
La corriera Correggio-Modena, andata e ritorno: dunque è lei la prima musa ispiratrice del nostro artista. E poi, ci dice lui, «Carosello con i suoi cartoni animati, i suoi fumetti parlanti, piccole opere d’arte di artisti locali di qualità che alimentano studi dove si fa grafica, sceneggiatura, testo. Bonvi tra questi». Bonvi, alias Franco Bonvicini, il maestro fumettista modenese dove Guido Silvestri poi apprende l’arte e la mette da parte.
«Carosello fece scuola, fu l’incubatore di tanti talenti nostrani» ricorda Guido. La TV, quella scatola che ipnotizza le Sturmtruppen, fu scuola per tanti italiani!
«Io voglio fare quella roba lì, mica il ragioniere o il cuoco. Fumetti. Armi in spalla: matita e parola. Sentivo una gran voglia, ma il talento innato non me lo sentivo. Anzi mi sentivo un po’ sfigato di natura, proprio nel maneggio di matita e parola, diciamolo pure. Ma non ci mollai. Ci lavorai per un bel po’, copiando, copiando, leggendo, leggendo e provando, provando» Guido così si racconta.
Tal quale il suo lupo: ostinato nel provare e riprovare, nonostante le botte che prende da Mosè. Ma Alberto ci crede. La passione per Marta è indomabile. Così Guido, con la sua Marta, la matita amata, ma tutta da coltivare e perfezionare. Dopo l’esordio e l’apprendistato nella bottega di Bonvi, si fa vivo Milano, con un telegramma. È il Corriere dei Ragazzi dove la fattoria Mc Kenzie piace e sfonda, poi l’Occhio con Maurizio Costanzo. Nel 1979 da Correggio il nostro Guido si trasferisce dunque a Milano e lì prende forma, a poco a poco, il suo quartier generale, la lupolandia meneghina dai mille colori e dalle mille forme nella quale siamo oggi.
Chiave del successo?
«Certo un po’ di fortuna, ma soprattutto la determinazione, la voglia di farcela, la passione per qualcosa che ti piace e che vuoi come lavoro. Poi bravi genitori che ti assecondano, amici e insegnanti che ti aiutano. È stato un terno al lotto, ma ci ho puntato con ostinazione, con feroce volontà».
Cosa insegna Lupo Alberto? Qual è la sua pedagogia? C’è una funzione socialmente educativa del tuo fumetto che ne spiega la longevità?
Guido richiama il senso del limite, un maestro da cui ha tanto imparato in tutti questi anni.
«A me piace sorridere e ridere e cerco, a mia volta, di far ridere, senza troppe pretese. Stop. Poi l’ironia è prima di tutto autoironia, sapersi prendere non troppo sul serio. L’anima di Lupo Alberto è lì. Lui piace forse proprio perché non si prende troppo sul serio, perché è libero, improvvisa, s’arrangia alla bell’e meglio e non s’arrende mai. Un casinista. Poi è un Lupo buono, che cerca di portar via la gallina per baciarla, non per ucciderla, quindi sconvolge lo stereotipo dell’aggressività di default, per natura.». Niente di più.
Un bel fenomenaccio, quel mite lupaccio, non c’è che dire.
Oggi il fumetto classico, quello da assaporare e meditare con un po’ di calma, trova la vita un po’ più dura.
Lupo Alberto ha superato, comunque, la prova radio, la prova TV, è andato oltralpe con successo.
E poi il nostro Lupo azzurro è anche l’Italia che vuole crescere e maturare in civiltà. Lo abbiamo visto in tutti questi anni prestare la sua siluette a tante campagne civili, per le grandi emergenze, per la salute, per il rispetto degli altri, per l’aiuto verso i bisognosi vicini e lontani. C’è il DNA di Guido, che viene da umili origini e da un mondo generoso, partigiano della solidarietà. Proprio l’antidoto all’“Homo homini lupus”.
Ti aspettiamo a Correggio Guido, noi pensionati, tra gli amici del bar.
Ci viene spesso, lì c’è la sua casa che lo aspetta, la sua mamma.
L’idea è di farne lì il suo buen retiro.
Quando? Ma i fumettisti ci vanno in pensione?
O aspetti una laurea honoris causa a breve e non ce lo vuoi dire?
Pacche e sorrisi di commiato.
Ciao Guido, è stato un piacere.
Non c’è la corriera che ci aspetta, ma si torna a casa. E, usciti dalla casa del Lupo, ci diciamo subito che “Silver”, classe 1952, d’argento ha solo un po’ di capelli. Perché, per il resto, è rimasto sempre quel ragazzo d’oro che in tanti qui a Correggio abbiamo conosciuto.