La prima fotografia (in apertura), risalente al 1949, rappresenta un gruppo familiare che si appresta alla mietitura del grano. La raccolta avveniva con falci e forconi, e richiedeva diversi giorni di lavoro, con i contadini che trascorrevano interminabili giornate a falciare con la schiena curva sotto il sole cocente. Alla mietitura partecipavano tutti – uomini, donne, bambini e anziani – e ognuno aveva una mansione ben precisa: di solito gli uomini si occupavano del taglio delle spighe, i bambini e le donne della raccolta di esse che, una volta legate in fascine, venivano poi trasportate fino all’aia di casa. La mietitura doveva avvenire quando il chicco di frumento era completamente fatto, ma non del tutto maturo, diversamente sarebbe fuoriuscito dalla spiga durante le operazioni di mietitura e trasporto. Le operazioni avvenivano generalmente intorno al 20-25 giugno, e a San Pietro spesso la mietitura era finita con i covoni ammucchiati fuori o nei fienili delle case rurali, nell’attesa della trebbiatrice.
La seconda fotografia, risalente al 1951, rappresenta il momento della trebbiatura. Quasi addossata all’imbocco della porta morta della casa colonica, vi è una trebbia “Casali”. Questa trebbiatrice si costruiva nell’Officina Casali di Suzzara fin dagli anni Venti, ed era più piccola rispetto alla più famosa trebbia “Orsi”. Come suo prolungamento è posizionata, perfettamente sotto la bocca d’uscita della paglia, l’imballatrice pressa-paglia. Con la paglia si faceva letto alle bestie.
Le operazioni di trebbiatura, a seconda della quantità dei covoni da sgranare, richiedevano un gran numero di operai (da trenta a ottanta in base alla dimensione della trebbia). S’incominciava a trebbiare a ore piccole, e per un tempo interminabile si spargeva nei dintorni il battito frenetico del trattore (di solito un Landini a testa calda), il rombo cupo della trebbiatrice e anche il denso polverone della pula (involucro del cereale che sarebbe diventato alimento per la vacche).
La trebbiatrice si presentava esternamente come una grande cassa di legno, montata su un carro a quattro ruote della lunghezza di circa sei o sette metri, e spiccava per il suo brillante colore arancione (almeno finché era nuova). Dai suoi lati sporgevano degli assi sui quali erano montate delle pulegge, e il tutto era azionato da un motore che attraverso una cinghia (correggia) di trasmissione si collegava con la trebbia e metteva in movimento gli ingranaggi.
In passato la mietitura e la trebbiatura del grano costituivano una vera festa, pur comportando durissimo lavoro: rappresentavano il successo tangibile di un impegno lungo, difficile e faticoso, reso infine ancor più pesante dal caldo afoso. Eppure era una festa.