Eccoci, all’improvviso, catapultati, immersi nel Web3 e circondati da parole e concetti che solo qualche mese fa non avevano questa risonanza e diffusione.
All’improvviso, a settembre, un’ondata di curiosità ha permeato la mia parte radicalmente ancorata al pragmatismo e ai beni culturali fisici (nasco infatti come storica dell’arte) e ho iniziato a studiare seriamente un settore sempre più in divenire, amandolo ogni giorno di più.
Nel 2021 il giro di affari del mondo dell’Arte tradizionale si è aggirato sui 50 miliardi di dollari e quello degli NFTs (Non Fungible Token: bene unico, non sostituibile) sui 41 miliardi di dollari; quando le cifre cominciano ad avvicinarsi così tanto non si tratta più di una bolla speculativa, una moda o voglia di novità, ma di un fenomeno in evoluzione che rimarrà nei libri di testo, se dovessero continuare ad esistere, come evento accaduto negli anni 20 del XXI sec.
A questo punto quindi il fenomeno non solo va recepito, ma anche studiato. Seriamente.
Ma andiamo per gradi, per comprendere gli NFTs e il Web3 di cui tutti, anche le riviste patinate, oramai parlano.
Partiamo dall’inizio.
Siamo nel 1992: lo scrittore di fantascienza Neal Stephenson in “Snow Crash” conia la parola metaverso (meta = dopo, in greco antico + universo) e lo descrive come “un mondo virtuale in 3D, parallelo a quello reale, in cui le persone vivono grazie agli avatar, cioè alla loro rappresentazione grafica digitale”. 30 anni dopo nascono luoghi virtuali come Decentraland o The Sandbox, dopo si possono acquistare terre digitali.
Vorrà poi dire qualcosa se Mark Zuckerberg abbia cambiato il marchio dell’azienda (comprensivo di Facebook, Instagram, Messanger e WhatsApp, per un totale di 2,8 miliardi di utenti) nel logo META?!
Certo tutti ricordiamo Second Life, mondo virtuale elettronico digitale online lanciato nel 2003, che raggiunse un milione di utenti nel 2013. Ma il Metaverso è un altro mondo ancora, perché fa parte del Web3 e di come sia cambiato il nostro modo di approcciarci al web da (users) utilizzatori. Con il Web3 gli users (cioè tutti noi) possono creare, utilizzare contenuti e soprattutto ANCHE guadagnare denaro dalle transazioni economiche, certo in cryptovalute (per ora). Perché il Web3 è caratterizzato da un’economia parallela e si possono già vendere o acquistare oggetti digitali o fare investimenti. La rivoluzione è in atto e i tempi stanno correndo velocissimi (si calcola che 5 anni di innovazione reale siano paragonabili ad 1 solo anno di innovazione digitale).
Addentriamoci meglio allora in questo ambito di economia parallela degli NFTs, ma prima cerchiamo di capire due elementi importanti per poterci muovere: la blockchain e le cryptovalute.
Nel 2008 un certo Satoshi Nakamoto inventa un registro digitale distribuito in cui i dati delle transazioni siano memorizzati in blocchi crittografici a formare una catena incorruttibile ed insieme a questo strumento il Bitcoin, una moneta virtuale (che allora non valeva quasi nulla, ma nel 2021 ha raggiunto anche il valore di 67.000 dollari cad.).
Negli anni vengono create altre cryptovalute fino ad arrivare al 2015 ad Ethereum, che inserisce nei suoi blocchi indivisibili due nuovi elementi: lo smart contract, cioè un protocollo informatico personalizzato che serve per verificare dei dati o fare rispettare delle clausole, e gli NFTs, un asset unico e indivisibile registrato su blockchain che può dimostrare e certificare l’autenticità e la proprietà dell’opera creata fisica o digitale, ma anche la proprietà intellettuale dell’opera (la tutela del diritto d’autore) e le movimentazioni nel primo e secondo mercato.
Una Rivoluzione. Iniziata con l’asta di un file digitale e relativo NFT (“Everydays” dell’artista Beeple, 5000 foto scattate in 13 anni) battuto da Christie’s il 25 febbraio 2021 e comprato per 69 milioni di dollari dal fondo Metapurse.
L’arte digitale (ciò che viene creato con una tecnologia digitale tramite software o hardware) esisteva già dal 1965 (la generative art di George Nees), ma ora si è aggiunto che la realizzazione, la promozione, l’esposizione, la tracciabilità dell’opera si lega alla blockchain (da qui crypto arte), scardinando il mondo tradizionale del rapporto fra artisti e galleristi/mercanti/mecenati/critici/curatori e rimettendo al centro la figura dell’ideatore.
Giusto, sbagliato? Lo sapremo solo nel giro di 12-18 mesi. Nel frattempo sono nate varie piattafiorme online (cito le più importanti) sempre più ambite dagli artisti crypto:
Superare per le opere uniche (con una lista di attesa per essere selezionati che ogni giorno diventa più lunga), Nifty Gateway (per i multipli o per edizioni limitate) e Opensea per i collectibles (serie di esemplari che sembrano tutti simili, ma che in realtà hanno ricevuto caratteristiche diverse in base ad un algoritmo specifico, diventando ricercatissime dai collezionisti online).
Ma è Arte o non è Arte? Io credo di sì. Se lasciamo stare il livello base di creazione digitale, cioè di un’opera fisica (scultura o pittura) semplicemente fotografata (trasformata quindi in file) e inserita con NFT sulle piattaforme di riferimento, perché credo sia come un voglio/ma non posso, si trovano livelli di ideazione molto alti.
Il primo livello è degli artisti che arrivavano dal mondo del gaming o delle scenografie dei film o dal design, con abilità creative digitali stupefacenti: questi utilizzano queste conoscenze per creare nuove opere, mostrarle e poi per venderle. Oggettivamente interessanti, ma mancano di estetica. Il secondo, il più alto, è quello di coloro che insieme alle capacità digitali hanno unito contenuti e poetiche personali, arrivando a produrre GIF, animazioni o video che suscitano enorme interesse.
I nomi? Fra gli italiani: gli Hackatao (veri pionieri della crypto), Giovanni Motta, Federico Clapis, Dangiuz, Alessio De Vecchi e Annibale Siconolfi. All’estero: Pak,Trevor Jones, Raphael Lacoste, Skygolpe, Alotta Money, Billelis, XCOPY.
Ritengo quindi che sia Arte, ma serve studio per addentrarsi in questo nuovo mondo, per differenziare il qualunquismo da chi ha possiede un vero DNA artistico. Il fenomeno è iniziato, non rimane che aprire anche il proprio portafoglio virutale e, se non si è artisti, almeno navigare sulle piattaforme per iniziare la propria collezione di Criptoarte.