Marzo, Marzaccia tingimi il culo e non la faccia

Cambiano i tempi, cambiano le mode.
Una volta venivano considerate raffinate le persone che avevano una carnagione chiara, eterea, pulita; mentre erano volgari lavoratori della terra, esposti alle intemperie e le persone di carnagione scura.

Oggi succede il contrario. Le persone di carnagione bianca sono considerate scialbe, malaticce, mentre sono di gran moda le abbronzature naturali e artificiali, anche fuori stagione.
Alcuni anni fa Giulio Taparelli mi aveva parlato di un’usanza che si praticava al primo sole di marzo per favorire i raccolti e scongiurare gli effetti del sole estivo.
Consisteva nell’esporre il culo al sole, nascosti dietro la masa (il mucchio di letame), recitando una filastrocca:

Mers, marsas / tensem al cul e mia al mustas.

Erano vaghe informazioni.
Nel corso di ricerche, su altri argomenti, ho avuto modo di trovare un “prezioso” testo dei primi anni del Novecento molto interessante.

Eccolo:

“Nel presto mattino del primo dì di marzo, ancora si mostrano al sole le parti deretane per non aver poi bruciata la pelle del viso sotto il gran sole d’estate.
L’usanza è tipicamente campagnola.

Giovinetti e ragazze continuano a testimoniare il loro credo nella tradizione. Salgono cauti e nascosti sulla copertura delle case o si espongono sulle più alte finestre, contro il sole tosto che sorge: e quindi denudano il deretano. Se è d’apparenza deridevole, la scena ha remoto fondamento di rito propiziatorio: ha radice nei lontani riti sacrificali.

La frase che accompagna l’azione rituale dice:

Sol ad merz cusm e’ cul e no cusm ét (ar). / Sole di marzo cuocimi il culo e non cuocermi altro.

Sovra ogni altra persona è la giovinetta che segue ubbidiente, per ambizione, l’usanza. Ella si è sempre preoccupata di non sciuparsi la pelle del viso a gara con le coetanee di città.

E la pratica, gratuita, surroga le creme e gli specifici dei profumieri.

La frase spiega il riposto fondamento dell’usanza: sole, ti offro, a che tu me l’annerisca, a tua voglia, la parte più nascosta di me medesima, ma risparmiami il volto che è decoro della mia bellezza”.

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