A fianco di mamme e bambini del Congo

Marianna Sabattini, laggiù, con Medici Senza Frontiere

Marianna Sabattini, correggese, si è laureata in ostetricia a Parma nel 2003 e ha lavorato per anni negli ospedali della nostra provincia, prima di capire che il suo posto era un altro. La sua prima esperienza all’estero è stata nel 2007, in Costa d’Avorio. Nel 2018 la sua voglia di viaggiare e di impegnarsi per gli altri l’ha spinta in uno dei paesi più poveri al mondo, Haiti, poi a Kananga, in Congo. Infine ha deciso che quella sarebbe stata la sua vita: si è licenziata dall’ospedale di Guastalla, dove aveva un contratto a tempo indeterminato, ed è partita, di nuovo, per il Congo come operatrice di Medici Senza Frontiere. Ed è lì che la sento, a fine novembre, attraverso una connessione internet intermittente e con la pioggia tropicale di sottofondo.

Cosa ti ha portato a compiere questa scelta?

«Sono sempre stata affascinata dai risvolti antropologici e transculturali della mia professione, che ho approfondito attraverso corsi e scuole di specializzazione postuniversitari, oltre che con il lavoro sul campo. Anche prima di partire, infatti, quando lavoravo ancora in ospedale, parte del mio servizio la dedicavo ad assistere le donne straniere nei centri salute presenti nella nostra provincia, che su queste tematiche è sempre stata all’avanguardia. Non mi piacciono le ingiustizie e ho sempre amato viaggiare. Così ho scelto il lavoro che mi consentisse al meglio di coniugare queste mie due propensioni».

Come hai scelto Medici Senza Frontiere?

«Esistono tante associazioni che operano in questi settori, tutte piuttosto valide. Il primo viaggio l’ho fatto con Terre de Hommes, ad esempio, ma Medici Senza Frontiere è quella che rispecchia maggiormente le mie idee: si basa esclusivamente su donazioni di privati, i suoi bilanci sono completamente trasparenti (e consultabili via internet; ndr) e quasi tutti i fondi sono destinati ai progetti di intervento. È presente dal 1971 nelle zone di guerra e nei paesi più poveri del pianeta per assistere malati e feriti, facendo della neutralità e dell’indipendenza la propria bandiera».

Quali sono le tue mansioni?

«Quando sono partita, volevo occuparmi di assistenza alla maternità e di violenza sessuale, che in Africa, purtroppo, rappresenta un problema gravissimo. Oggi, invece, il mio impegno è soprattutto manageriale, strategico, di formazione e gestione del personale. Una delle prerogative di MSF, infatti, è quella di non sostituirsi, ma di sostenere gli operatori locali, che poi dovranno fare tesoro delle competenze apprese e diffonderle sul territorio. Qui a Masisi, ad esempio, sono l’unica ostetrica esterna: i 35 medici e infermieri sono tutti congolesi, con qualche specialista che talvolta viene da fuori e alcuni operatori MSF provenienti da altre regioni del Congo».

Com’è la tua giornata tipo?

«L’edificio in cui viviamo si trova vicino all’ospedale, che raggiungiamo a piedi. Nella residenza siamo circa dodici-tredici operatori, tutti MSF, ma il nostro numero varia a seconda del periodo. Non siamo soltanto medici: ci sono gli addetti alla parte amministrativa, logistica, di approvvigionamento materiali e farmaci. È importante che fra di noi ci siano buoni rapporti perché, per ragioni di sicurezza, non possiamo uscire, se non per recarci al lavoro. Alle 18 c’è il coprifuoco e tutti devono rientrare. Poi, al bisogno, possiamo partecipare alle cliniche mobili: in auto o in moto raggiungiamo villaggi, situati anche a grande distanza da qui, per portare assistenza a malati, feriti o donne partorienti. In caso di successo, si hanno grandi soddisfazioni, anche se i pericoli sono molti».

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