Ma la ragione vincerà i pregiudizi

Lo ammetto onestamente: sabato 14 novembre mi sono recata al Teatro Asioli di Correggio per assistere allo spettacolo Il Crogiuolo, in compagnia non solo di mio marito ma anche di una punta di timore. Eh sì, perché se da un lato ero desiderosa di assistere alla messa in scena fatta dal Teatro Stabile di Torino del dramma scritto da Arthur Miller nel 1953, ero anche spaventata dall’idea di dover restare ancorata alla mia poltrona per tre ore, afflitta come sono da quella dilagante “allergia moderna” che mi ha reso intollerante alla staticità prolungata. Però Il Crogiuolo è un esempio di letteratura imprescindibile, un testo politico e letterario che descrive la ciclicità della storia, con il suo ripetersi di percorsi ed eventi che portano l’uomo a commettere sempre gli stessi errori: non volevo certo mancare a questo appuntamento. Ora, sempre onestamente, vi dico che ho fatto bene ad andare: credo che questo mio giudizio sia stato condiviso dagli spettatori presenti in sala, che si sono visibilmente commossi sul toccante discorso finale del narratore ed hanno applaudito la folta compagnia di affiatati attori in una standing ovation.

Il dramma di Miller sfrutta il processo alle streghe avvenuto nel 1692 nel villaggio di Salem, in Massachusetts, che portò all’impiccagione di diciannove persone con l’accusa di stregoneria, per criticare la politica del sospetto e della paura sorta durante il Maccartismo, quando si vedeva in ogni individuo altro da sé un nemico, una spia russa. L’aggancio del testo con il nostro presente è chiaro fin dall’inizio: il narratore spiega che tutto ciò che verrà mostrato è simile ad una “morsa, che è un paradosso ancora oggi”, poiché continua a presentarsi quando gli esseri umani restano imprigionati nella stretta mortale della calunnia, della superstizione e degli estremismi ideologici.

A rendere suggestiva la rappresentazione non sono solo la pregnanza del testo, l’eterna attualità dei contenuti e l’abilità degli attori, ma anche l’apporto musicale di brani intensi, interpretati abilmente dal vivo dagli attori Fatou Malsert e Aleph Viola: la canzone The End, che rimanda immancabilmente alla scena iniziale del film Apocalypse Now di Francis Ford Coppola; l’inno nazionale americano nella suggestiva versione di Jimi Hendrix; House of the Rising Sun.

Dal dramma di Miller emerge un altro importante messaggio: il senso di giustizia del singolo può rovesciare le sorti dell’intera collettività. Le persone non dovrebbero mai rimanere immobili davanti ad accuse e paure infondate, anche quando il prezzo da pagare risulta alto così come lo è per l’incorruttibile ed eroico John Proctor, interpretato da Filippo Dini. L’ovazione finale del pubblico risulta così assai significativa e sembrerebbe simboleggiare una collettiva presa di coscienza di tutti coloro che, alzandosi, si sono posti dalla parte di chi ha chiesto che qualsiasi caccia alla streghe, ovunque avvenga, sia fermata.

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