Ma com’è davvero, visto da vicino?

Indagine senza preconcetti sul reddito di cittadinanza

Parliamo di reddito di cittadinanza. Lo facciamo in un momento che potremmo definire di transizione, dato che queste pagine vengono scritte nelle settimane in cui il governo discute sul futuro del provvedimento, sul suo rifinanziamento per l’anno 2022, sulle eventuali modifiche che subirà.
Questo articolo non darà conto delle mille previsioni sul futuro che da ogni parte sentiamo ogni giorno: quando lo leggerai, sarebbero già vecchie. Cerchiamo inoltre di allontanarci dallo scontro politico che accompagna il parlare di questo provvedimento.
Scendiamo invece nel merito della questione, e cogliamone la complessità.

Ecco giusto due coordinate generali: il reddito di cittadinanza (d’ora in poi, RdC) è un sostegno economico pensato per aiutare le famiglie che si trovano in difficoltà economica. È temporaneo e vincolato alla partecipazione dei beneficiari a percorsi di inserimento lavorativo o patti di inclusione sociale, tranne in alcuni casi specifici.
Chi ne fa richiesta si interfaccia con i servizi sociali e/o con i centri per l’impiego: in entrambi i casi, il RdC è temporaneo e legato a percorsi di reinserimento sociale o lavorativo.

Chi ne beneficia riceve offerte di lavoro apposite, che è tenuto ad accettare entro certi limiti, e viene inserito in percorsi specifici che possono comprendere l’intervento dei servizi sociali.
Pensionati e disabili, invece, sono trattati come categorie a parte, e hanno meno vincoli. Il parametro principale (ma non l’unico) per ricevere il RdC è l’ISEE, che dev’essere inferiore a 9.360 euro. Gli assegni sono elargiti mensilmente e il loro importo è corrispondente al numero di individui del nucleo familiare: si va dalla media di 448 euro per le persone che vivono da sole, ai circa 700 euro per le famiglie di quattro componenti.

La misura è stata introdotta nel 2019, e da lì ogni anno ha visto ampliarsi la platea di beneficiari, comportando maggiori costi per lo Stato. È anche per questo che se ne parla tanto. Ma vediamo alcuni dati più precisi.

Come anticipato, le persone che lo percepiscono sono sempre di più: 1.101.427 nuclei familiari nel 2019, 1.575.929 nel 2020, 1.673.775 nei soli primi otto mesi del 2021. Più di un milione di famiglie, quindi, ossia quasi 4 milioni di individui nel solo 2021 finora.
Nonostante questo aumento, vi è una sproporzione: il Sud e le isole coprono da sole più del 50% dei richiedenti, per ogni anno dal 2019. La sola provincia di Napoli conta per tre volte il numero di richieste dell’Emilia-Romagna. La nostra regione ha il 4% dei richiedenti su scala nazionale, che nel 2021 fino ad agosto corrispondono a 35mila richieste. Di queste, 4.114 provengono dalla provincia di Reggio Emilia (terza dopo Bologna e Modena). A Correggio, i beneficiari del RdC sono 230.
Questo valore comprende sia gli individui seguiti dai centri per l’impiego, sia quelli seguiti dai servizi sociali, i quali – in proporzione – sono quasi il triplo dei precedenti. I dati disponibili sono pochi e frammentati, ma sembrano essere in linea con la tendenza nazionale per quanto riguarda la composizione dei nuclei familiari. Si tratta prevalentemente di: famiglie numerose con più figli a carico; famiglie monogenitoriali, spesso con la presenza della sola madre; oppure persone che vivono da sole, adulti con determinate fragilità, che hanno sempre avuto rapporti di lavoro fragili e precari e in questi ultimi anni faticano ad avere un reddito regolare.

Cosa possiamo trarre da questi dati? È difficile dirlo. Proviamo a distinguere i due livelli che fanno parte del provvedimento: quello del sostegno alla povertà, e quello dell’inserimento nel mondo del lavoro. Il RdC cerca infatti di legare i due aspetti, e questo ha creato non pochi problemi, non tanto per quanto riguarda la prima componente, quanto per quella occupazionale.
Andiamo per gradi. La povertà in Italia aumenta, e la pandemia non ha certamente aiutato: nel 2020 sono state 1,9 milioni le persone supportate da Caritas, come si legge nel Rapporto sulla povertà da poco pubblicato. Il 44% delle persone monitorate dai centri di ascolto Caritas non vi si era mai rivolto prima: a conferma dell’impatto pesantissimo della crisi portata dal Covid-19.
Il RdC è stato da più osservatori indicato come una buona soluzione per il sostegno alla povertà, ma i maggiori dubbi riguardano l’effettivo successo dell’inserimento nel mondo del lavoro.
I dati pubblicati dall’INPS non permettono di capire quanti beneficiari di RdC abbiano trovato lavoro dal 2019, ma un report della Corte dei Conti del febbraio 2021 ha rivelato che erano 152.673 le persone che avevano instaurato un rapporto di lavoro dopo la presentazione della domanda: solo il 14,5% del totale.
Inoltre, molti dei beneficiari, come disabili e pensionati, non sono vincolati a cercare un’occupazione, e secondo un rapporto dell’INPS due terzi dei precettori del Reddito non sono occupabili.

Di nuovo: dare un giudizio su questi dati è complicato. Lo scenario è difficile da inquadrare, e chiunque si affretti a dire che il RdC sia “giusto” o “sbagliato” senza scendere nella complessità sta inevitabilmente perdendo pezzi importanti per strada. Più che dare dei giudizi o fare commenti, possiamo fare una cosa più utile: vedere la complessità, e togliere di torno alcuni falsi miti e stereotipi sul RdC.

Primo: i cosiddetti “furbetti del Reddito”. Giornali e telegiornali raccontano di persone che   lo percepiscono pur possedendo macchine di grossa cilindrata, ville e chi più ne ha più ne metta. Questi casi di cronaca particolarmente coloriti finiscono per bollare e stereotipare l’immagine di chi riceve il RdC. Ne sentiamo cinque o sei tutti i mesi, qualche decina in un anno. Ma se anche fossero qualche centinaio, che incidenza avrebbero su più di un milione di richiedenti del Reddito? Occorre andare con cautela, la povertà non è una questione di comodo.
Secondo punto: si dice che il RdC dia soldi ai pigri, che così non fanno più niente. Nuovamente, in alcuni casi potrà essere vero, ma seguire questa interpretazione a priori non permette di vedere quanto povertà e disoccupazione siano diffuse in Italia.
Delle persone citate prima che si sono rivolte ai centri di ascolto Caritas, solamente il 20% prendeva il RdC; e teniamo conto che, secondo l’ISTAT, quasi il 10% delle famiglie italiane era in condizione di povertà assoluta nel 2020.

In Italia la disoccupazione è elevata, il lavoro è spesso poco tutelato, la transizione digitale ed ecologica che ci aspetta taglierà numerosi posti di lavoro, e qualcosa andrà fatto.
Il Reddito di Cittadinanza è quello che è, c’è chi ci trova aspetti positivi e chi negativi. Il punto è che la situazione è complicata, i problemi a cui si cerca di rispondere sono reali, e parlare di furbetti e pigrizia dei lavoratori allontana da questi problemi. Le cose sono un bel po’ più complesse

FONTI DEI DATI CITATI

Seguono le fonti di provenienza dei dati citati nell’articolo, da integrare con un’intervista realizzata con il Dirigente del Servizio Sociale Integrato dell’Unione Comuni Pianura Reggiana, il Dott. Luciano Parmiggiani.

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