L’ultima mondina

D – Bene, cominciamo. Parli lentamente per favore perché devo scrivere.
Questa intervista è un’iniziativa del Centro di Documentazione della Storia Orale di Correggio con cui si vuole raccogliere le memorie della decana delle mondine, Ultima Cattini, sulle famose cinquanta varietà di riso

R – Non mi tiro indietro, non mi tiro indietro.

D – Eh? No no andiamo avanti.

R – Evidentemente lei è sordo. Non c’era un intervistatore più giovane, eh? Dunque… La vita della povera Ultima è stata molto sacrificata fin dal suo nome: fui la quarta concepita quando i miei genitori avevano già deciso che tre figli erano stati troppi.

D – Troppi?

R – Ma quelli del Centro non ce ne avevano almeno uno sano da mandare? TROPPI.
Per arrivare alle mondine dobbiamo cominciare dal fatto che in famiglia eravamo molto poveri. Ricordo il 1947, per il mio decimo compleanno.
Durante la guerra soffrivamo la fame e non avevo mai festeggiato il compleanno.
Quell’anno mio padre passando davanti alla pasticceria del Puciòun, a porta Reggio, vide una torta maestosa di millefoglie e bignè e non seppe resistere.
Allora tornò a casa e mi fece vestire dalla festa, fece vestire anche mia madre e i miei fratelli, e ci fece schierare davanti alla vetrina, poi con un sorriso ci interrogò.
«Tu quanta ne vuoi?» mi chiese, ed io emozionata dissi: «Tutta!».
Rinaldo e Peppino si misero a piangere come aquile e la mamma ci rimase male.
Mio padre invece fu tollerante: «In fondo hai ragione. State indietro voi. Ecco Ultima, è tutta tua: puoi guardarla da sola» e così dicendo si spostò permettendo solo a me la vista di quella montagna di sfoglie, crema, panna, chantilly e bignè. Scriva: la mia famiglia era così povera che dovevamo accontentarci di scrutare da lontano il millefoglie!

 D – … il… millefoglie. Era buona quella torta?

R – Per la verità se fosse successo dieci anni dopo non l’avrei tanto sgolosata. Dopo che il Nero cadde dentro alla marmitta della crema, dico.

 D – Il Pero è caduto?

R – Il NERO, santo cielo. Questa è un’intervista impossibile! Lei è molto peggio che sordo.
Era un gattone guercio che si aggirava per Corso Mazzini e faceva visita a tutti i negozi.
Una mattina presto, la Vandina entra nel retrobottega dove c’è il laboratorio di pasticceria; ha bisogno di due uova in prestito.
E cosa ti vede? Il Puciòun che con una mano tiene per la collottola il Nero, inzuppato da far paura, e con l’altra raschia con la spatola dalla sua pelliccia per recuperare quanta più crema può.
Questa è storia! Ma lei da dove viene?

 D – Stia calma signora, che bisogno c’è di alterarsi? Adesso parliamo del riso e delle sue cinquanta varietà (prende una foto che Ultima gli porge) Ah, questa è lei… Mi scusi, ma cos’è, è sfuocata la foto o lei era proprio così?

R – Ha qualcosa da ridire? Avevo diciott’anni. Non mi trova bella?

D – Non direi bella… così secca… così sghemba… il mento disassato… i bitorzoli… Ecco, il braccio destro non è male.

R – Non faccia l’insolente! Fu proprio a diciott’anni che andai in risaia perché ero povera, e poi perché avevo una bella voce stridula, adatta per cantare le canzoni delle mondine. Se lo vuol sapere, fu lì che peccai per la prima volta di lussuria.

 D – Di cosa?

R – LUS-SU-RIA. Insomma, vuole che parliamo delle cinquanta varietà di riso o no?

 D – Guardi che avevo capito bene, non sono svanito. Solo mi sembra strano che lei… insomma si fa fatica a immaginarla in certe situazioni!

R – Fu nel 1954, facevo la mondina nelle valli di Vercelli. Stavo a culassù tutto il giorno a liberare le piantine di riso dalle erbe infestanti, con l’acqua agli sgarletti. Quell’anno c’era un sorvegliante rosso di capelli che mi guardava sempre, con insistenza; ed io cominciai ad avere pensieri impuri. La notte in dormiveglia … le lascio immaginare!

 D – Immaginare atti impuri con lei? Non voglio offenderla, ma non ho alcuna intenzione…

R – Lo sa che non ho mai conosciuto un intervistatore così sgarbato? Per caso è un consumatore su cui la coop si accanisce con la rilettura della spesa?
Questa fotografia è la più seducente che ho, sono presa dal mio lato migliore.
Andò avanti per diversi giorni, io non mangiavo e passavo il tempo a seguirlo da lontano, e se potevo gli portavo il vino, il pane e il salame.
Un giorno lui si decide, mi prende per un braccio e mi viene talmente vicino che sento il suo alito pesante e il suo sudore.
Mi trascina dietro l’argine e mi dice «Ma tè, non sei la Zaira di Forlimpopoli?». Io tremo tutta e dico che no, non sono la Zaira.
Allora lui di colpo mi molla e dice «Volevo ben dire! Perché se eri quella zoccola avrei abusato di te qui, sulla nuda terra, solo per umiliarti».
E allora io ero in uno stato di confusione dei sensi, non so se era il diavolo che parlava per me, fatto sta che spalanco le braccia senza opporre resistenza e dico una menzogna «Non sono la Zaira, però sono sua sorella, puoi vendicarti su di me!».
Scriva: lui allora non ci vide più, travolto dall’ira e in piena tempesta ormonale…

 D – … il sorvegliante rosso di capelli… con lei, dietro l’argine… no, guardi, non posso, è più forte di me.
È meglio che delle cinquanta varietà di riso me ne parli un’altra volta.

R – Non sarà imbarazzato! A diciott’anni si ascoltano tutti i propri sensi e gli ormoni circolano.
Meno lei, che probabilmente è sordo dalla nascita.

 D – Senta! Sono un volontario del Centro e non prendo neanche un rimborso spese: non ho un contratto che mi obbliga a lasciarmi insolentire dagli intervistati, quindi sono libero di dirle quello che penso. Io mancherò di alcune frequenze, ma in certi casi è meglio che si smarrisca il senso di ciò che avviene piuttosto che avvenga lo smarrimento dei sensi.
Lo dico, riflettendo sul triste destino del sorvegliante di Vercelli e su queste cinquanta varietà di riso del cavolo…

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