L’oca è un animale da cortile allevato fin dall’antichità e quindi molto conosciuto.
Se ne hanno tracce già in epoca neolitica, nelle tombe e nei monumenti egizi.
Omero parla dell’oca nei suoi canti; Plinio narra le gloriose gesta delle oche del Campidoglio
che con i loro schiamazzi, nel 382 a.C., salvarono Roma dalla invasione delle truppe galliche.
Si può ben dire che «L’oca vigila anche quando i cani dormono»! Marziale e Plutarco hanno definito l’oca sagace e scaltra.
Di tutto questo passato glorioso poco è rimasto nella nostra cultura popolare, dove l’oca è nota per ben altre caratteristiche…
NON TACE MAI
L’oca starnazza in continuazione producendo uno schiamazzo che ai più pare insensato.
Ve ne sono di quelle che hanno una voce acuta e stridula ed altre con un tono borbottante.
Questa loro particolarità le connota in modo inequivocabile.
Do doni e n’oca / Due donne e un’oca
merchè belè fat. / mercato già fatto.
La sua petulanza interminabile e il suo comportamento illogico vengono efficacemente riassunti nella Fola dell’oca, che ripetendo poche parole continua all’infinito.
La fola ed l’oca / La favola dell’oca
l’è bèla s’l’è poca, / è bella se è poca,
s’te vo ch’a t’la cunta / se vuoi che te la racconti
a t’la cuntarò. / te la racconterò.
Vot ch’a t’la cunta? / Vuoi che te la racconti?
Se! / Sì!
Te n’è mia da dir… se / Non devi dire… sì
perché la fola ed l’oca / Perché la favola dell’oca
l’è bèla s’l’è poca, / è bella se è poca
s’te vo ch’a t’la cunta / se vuoi che te la racconti
a t’la cuntarò. / te la racconterò.
Vot ch’a t’la cunta? / Vuoi che te la racconti?
No! / No!
Te n’è mia da dir… no / Non devi dire… no
perché la fola ed l’oca / perché la favola dell’oca
l’è bèla s’l’è poca, / è bella se è poca
s’te vo ch’a t’la cunta / se vuoi che te la racconti
a t’la cuntarò. / te la racconterò.
Vot ch’a t’la cunta? / Vuoi che te la racconti?
È conosciuta anche La fola dell’oca bianca, che è una variante della favola dell’oca.
Pure in questo caso poche parole vengono ripetute all’infinito perché la risposta viene sempre considerata errata.
Questa l’è la fola ed l’oca bianca / Questa è la favola dell’oca bianca
vot ch’a t’la dega / vuoi che te la racconti
o ch’a t’la canta? / o vuoi che te la canti?
Canta. / Canta
Se te te d’giv dega, me… / Se tu avessi detto: dica, io…
Una filastrocca carnevalesca inizia con:
Tre uchini in mès a un pre / Tre ochine in mezzo a un prato
che al ciamen Carnevel… / che chiamano Carnevale…
ANIMALE POCO INTELLIGENTE
L’oca con il suo incedere goffo e svagato è diventata il simbolo della stupidità, della scempiaggine.
Di donna sciocca con scarsa intelligenza si dice: T’è propria n’oca (Sei un’oca).
Oppure:
La gh’a già tut / Ha già tutto
a gh’manca sol la piuma. / le manca solo la piuma.
Se poi è anche ingenua e credulona si dice: T’è n’oca giuliva. Sei un’oca “giuliva”
Per una persona imbambolata, distratta, non attenta a quel che succede, si dice: Incanteda cme n’oca (Incantata come un’oca).
Il verbo che viene usato in queste circostanze è inucheregh.
Quando una persona rimane ingannata si afferma: l’a ciapè l’oca.
Il primo d’aprile, notoriamente giornata dedicata agli scherzi si recita una breve filastrocca:
Al prem d’avril / Il primo aprile
tuti a gli j ochi i van in gir. / tutte le oche vanno a passeggio.
VAGANO IN MODO IRRAZIONALE
Uno dei giochi da tavolo fra i più antichi e famosi è senza dubbio il Gioco dell’oca.
Pare che la versione a noi nota, quella con con 63 o 90 caselle, risalga alla metà del XVI secolo.
Nel 1580 Fernando I de Medici ne fece dono a Filippo II re di Spagna.
Il gioco nella sua essenza è un vagare dettato dai dadi e quindi dal caso, di casella in casella, avanti
e indietro incontrando difficoltà e situazioni impreviste.
Si addice quindi alle peculiarità dell’oca che pare sempre vagare senza logica.
A questo proposito si narra delle oche di proprietà di un certo Righetti, che sono diventate simbolo di insipienza.
Fureb cme ch’agli ochi che j’eren / Furbo come le oche che erano
in Secia e jin andedi a bever a cà. / in Seccia e sono tornate a bere a casa.
Tra l’ironico e il drammatico viene narrato e ricordato come monito il destino delle oche di Bagni (cognome non scelto a caso).
Fer la fin dagli ochi ed Bagnet / Fare la fine delle oche di Bagni
murir anghedi / morire annegati
in una tegia ! / in una pentola!
Molti altri modi di dire fanno riferimento all’oca per le sue peculiarità. Nel suo girovagare, ad esempio, caga in continuazione: Sgriler cme n’oca. Scagazzare come un’oca.
Quando la pelle di una persona diventa grinzosa: Ander in pela d’oca (Rabbrividire a causa del freddo
o per un’emozione).
Quando si riesce a fare una cosa con fatica, a malapena… A fie d’oca (A fiato d’oca, con fatica).
Quando si esegue un lavoro lungo per il quale serve pazienza… A poch, a poch a s’pela l’oca
(A poco a poco si pela l’oca).
ALTRO SIGNIFICATO
Il termine oca nella nostra cultura popolare viene utilizzato anche per indicare il membro maschile. Questa attribuzione sarà probabilmente dovuta al lungo e poderoso collo dell’oca sempre eretto.
È diventato celebre il modo di dire ironico Caffè dell’oca morta che connotava in ogni paese il luogo
di ritrovo degli uomini anziani.
Questi avevano perso ogni virilità e quindi “il collo dell’oca” abbassato non dava più segni di vita.