L’Italia sono anch’io

lo “Ius Soli”, una scelta di civiltà per tutti

Con il tè e con il tu.
Si comincia così, nella casa di “Donne del mondo”, in corso Cavour. Ci accoglie Gianna Radeghieri, che da tempo la anima con passione e garbo.
Sono presenti quattro splendide mamme, una ragazza ventunenne dolcissima e nove figlie dai sei ai sedici anni d’età. Pakistan e Marocco le loro patrie d’origine.

Siamo con loro per parlare dello “ius soli” (diritto di suolo), la legge (già approvata alla Camera e in attesa del passaggio al Senato) che consentirà a chi nasce in Italia da genitori immigrati da Paesi extra-UE e in possesso di permesso di soggiorno di lunga durata, di acquisire in modo automatico e naturale la cittadinanza italiana. 

Le mamme presenti sono laureate o diplomate, malgrado le loro mansioni lavorative non abbiano trovato la corrispondenza sperata. Già, accade in Italia … e non solo per loro.

Circa le novità dello ius soli, non c’è bisogno di spiegar loro alcunché. Sono connesse con il web, leggono, sanno. Perfettamente edotte sul tema.
È un incontro alla pari.
Si chiedono solo quando e come questa legge taglierà il traguardo, sapendo delle insidie parlamentari e del pregiudizio razziale che incontra.
Nei loro occhi profondi, lo vedi benissimo, brilla la speranza.
Si respira l’attesa, lungamente coltivata in famiglia.
E le ragazze poi! Nate o venute qui nella prima infanzia, della loro madrepatria hanno un pallido ricordo, quando c’è, come spiega efficacemente Zoha.

Poi Mariem: «Le poche volte che sono andata in Marocco con i miei genitori, mi sono sentita un po’ straniera.
E qui dove ho passato la maggior parte dei miei anni e costruisco il mio futuro non posso dirmi cittadina italiana.
Un po’ straniera anche qui: e allora, straniera sempre!».

Nayla racconta gli ostacoli che la mancata cittadinanza genera: «non puoi tesserarti in una società sportiva, non puoi accedere alla pubblica amministrazione, non puoi fare i concorsi: senti tanti limiti ingiusti, trovi tanti muri contro i quali vai spesso a sbattere».

Rabia parla dello scambio all’estero di studenti alle superiori: «L’inglese per me è la seconda lingua, era un requisito richiesto per andare a studiare qualche mese in un altro Paese europeo, ma per via della cittadinanza io sono rimasta qui e altri miei amici italiani invece, pur masticando un “bad english”, hanno potuto farlo.
L’ho vissuta come un’ingiustizia».  

Hasna si chiede: «ma perché degli italiani che risiedono oltre oceano da qualche generazione e che non conoscono più nemmeno la lingua italiana possono votare per il vostro Parlamento e noi che siamo qui ormai da tanti anni, che paghiamo le tasse qui, non possiamo dire la nostra su come governare il Paese che sentiamo nostro?». 

Ci contano davvero su questo benedetto ius soli che in tanti altri Paesi UE, dove hanno amici e parenti, opera già da tempo.
Loro vogliono bene all’Italia, bella e un po’ scombinata, dove nascono e crescono, studiano, lavorano, sviluppano le loro relazioni, maturano i propri sogni, immaginano il loro futuro.
Eppure l’Italia si permette ancora di straniarli, tenerli in sospeso e sottoporli a lungaggini defatiganti e umilianti per raggiungere, l’agognato traguardo di un’appartenenza piena, solida, tranquillizzante alla comunità civile.

In Italia i potenziali beneficiari dello ius soli sono circa cinque milioni.
A Correggio i residenti, nati in Italia e che non hanno ancora compiuto i 18 anni, sono 493. Questi potrebbero ottenere subito, a richiesta dei genitori in possesso dei requisiti, la cittadinanza italiana.
L’incubo di quei muri, evocati da Nayla, per questi bambini e adolescenti, svanirebbe di colpo.

Ne parliamo con Gianna che qui a “Donne del mondo” frequenta tante famiglie immigrate: perché rinunciare al pieno apporto di queste belle risorse umane?
Le vedi all’opera, motivate, piene di volontà, nella scuola, nel lavoro. Perché non aprire loro la porta principale dell’italianità, con quel chiavistello del diritto di cittadinanza?  

Cos’è che osta? La paura di svendere, di perdere l’identità nazionale? È vero il contrario: se crediamo nella vitalità della nostra democrazia, nella nostra libertà (riconquistata tante volte sul suolo patrio con l’aiuto di stranieri) e poi, ancora, nella cultura, nell’arte, nello stile, nella fantasia, in tutto ciò che rende attrattivo e affascinante il Belpaese, perché non ritenere questi valori capaci di conquistare altri cuori e farsi amare da tanti altri ancora? 

D’altronde se ci chiudiamo in un’italietta vecchia, stanca e intollerante, saremo presto condannati all’isolamento, all’irrilevanza sulla scena globale. 

Ecco perché consentire a questi nuovi cittadini di poter dire “l’Italia sono anch’io!” è una scelta di progresso e di civiltà, saggia e lungimirante, per loro e per noi.


Cosa dice il testo approvato alla Camera


Cittadinanza per nascita 
(Ius Soli temperato) 

Saranno cittadini italiani per nascita i figli, nati nel territorio della Repubblica, di genitori stranieri almeno uno dei quali abbia un permesso di soggiorno UE di lungo periodo. 

Servirà la dichiarazione di volontà di un genitore, o di chi ne esercita la responsabilità, all’ufficiale dello stato civile del Comune di residenza del minore, entro il 18esimo anno. In assenza di questa dichiarazione potrà essere il diretto interessato a richiederla, entro il 20esimo anno. 

Cittadinanza per frequenza scolastica (Ius culturale)  

Possono ottenere la cittadinanza anche i minori stranieri nati in Italia, o entrati entro il 12esimo anno, che abbiano frequentato regolarmente per almeno cinque anni uno o più cicli presso istituti del sistema nazionale di istruzione, o percorsi di istruzione e formazione professionale triennali o quadriennali. La frequenza del corso di istruzione primaria deve essere coronata dalla promozione. La richiesta spetta al genitore, cui è a sua volta richiesta la residenza legale, o all’interessato stesso, entro due anni dalla maggiore età. 

Cittadinanza per naturalizzazione

Possono ottenere la cittadinanza i minori arrivati in Italia dopo i 12 anni compiuti e prima del raggiungimento dei 18, se risiedono legalmente in Italia da almeno 6 anni oppure se hanno frequentato regolarmente e fino a conclusione un ciclo scolastico in Italia ovvero un percorso di istruzione e formazione professionale triennale o quadriennale con il conseguimento di una qualifica.

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