L’importanza di chiamarsi Panocia

Franco Casarini e le radici della passione musicale a Correggio

Di Panòcia, si sa tutto. Che ha fatto vari mestieri, uno soprattutto: l’amico e accompagnatore di Pavarotti. Che ha promosso il flauto di Griminelli. Che ha girato il mondo facendo incetta di selfie e (o quello che allora erano) con un incredibile numero di personaggi famosi (musicisti certo, ma anche attori, uomini politici, sportivi, principi, presidenti, registi, giornalisti, pittori, industriali). Tanto che la sua raccolta di foto potrebbe essere usata per illustrare una storia planetaria del Novecento, se in ognuna non apparisse inesorabilmente il suo faccione sorridente.

Già il biglietto da visita dice tutto: Franco Casarini (Panocia) e le note dell’incipit di Nessun dorma. «Anche se io non so leggere la musica», dice. «Lo pseudonimo? Dal colore rosso dei miei capelli, come le barbe del granoturco. Non si sa mai chi è ad aver creato uno scutmai, comunque tutti a Correggio allora ne avevano uno. Una fortuna, diceva Luciano: nel mondo sei l’unico e inconfondibile Panocia! Ad esempio, Romano Turci, che sarebbe diventato un grande giocatore di bocce, si beccò per sempre il soprannome di “Marinaio” perché partecipò ragazzino all’Ora del Dilettante, organizzata a Correggio dal PSI subito dopo la guerra, e cantò lo stornello All’alba se ne parte il marinaio». C’era anche Panocia tredicenne in quella mitica rassegna, che si tenne per due anni al teatro Asioli, ed interpretò un’aria operistica. Già, perché il quarto dei cinque fratelli Casarini cantava in chiesa nel coro di voci bianche del maestro Scaravelli e voleva fare il tenore. «Poi, crescendo, ho perso le note alte. Da allora ho cantato solo tra amici».

Prima della guerra a Correggio tutti erano dei patiti del melodramma. In teatro si alternavano due stagioni di lirica all’anno, venivano le più grandi compagnie italiane, spesso a provare prima di portare le opere nei grandi teatri. E tutte le classi erano rappresentate: i ricchi nei palchi in proprietà (quelli che avevano permesso la costruzione dell’edificio), i poveri appollaiati sul loggione, i borghesi in platea. La famiglia di Panocia, numerosa e povera, abitava tre stanzoni in via Santa Maria, brulicante di operai e di ragazzi.
Non aveva luce elettrica (solo un lume a petrolio e poi candele), i servizi igienici erano in comune con tutte le altre famiglie, l’acqua doveva essere attinta ad una fontanella vicino al Convitto, e ovviamente non poteva funzionare alcun apparecchio radio.

I fondatori del circolo Amici della lirica
(nella foto anche Franco Casarini e un giovanissimo sindaco Testi)

Eppure il padre di Franco, che lavorava al mulino di Beltrami, possedeva un meraviglioso grammofono a manovella su cui si alternavano continuamente una ventina di dischi a 78 giri delle arie d’opera più famose.Il piccolo Panocia crebbe in questo clima musicale. «Il melodramma a Correggio è stato il primo fenomeno culturale di massa, più del cinema. Ogni barbiere sapeva suonare uno strumento; tutti fischiettavano arie d’opera e conoscevano i libretti; e i divi di cui si seguivano le gesta erano i tenori e i baritoni, a diversità dei milanesi che stravedevano per le interpreti femminili».

Nell’immediato dopoguerra crebbe la diffusione della radio ed esplose la voglia di musica. A Correggio per iniziativa della parte cattolica fu organizzata la rappresentazione dell’operetta Fior di Loto con interpreti, coro e figuranti (Panocia partecipava abbigliato da cinesino) tutti presi dal paese. La sinistra reagì facendo recitare i suoi simpatizzanti nell’operetta D’Artagnan. Intanto il melodramma continuava a entusiasmare. I fan più arditi partivano in bicicletta (qualcuno più fortunato in mosquito) e andavano a venerare gli artisti al Municipale di Reggio o all’arena di Verona. Panocia, senza soldi (faceva il garzone da Scaltriti), si intrufolava ogni volta che poteva. Così scoprì la Scala, appena prima di emigrare in Uruguay, come altri correggesi, dove ebbe scarsa fortuna. Intanto Reggio era diventata importante a livello internazionale per la musica, col premio Giovani cantanti lirici, promosso dall’Avanti!, poi divenuto Premio A. Peri. Lì esordì nel 1959 Luciano Pavarotti; debutterà al Municipale due anni dopo con La Boheme.

Il pubblico presente all’opera lirica rappresentata nel capannone della ditta Cemental

A Correggio il più appassionato di lirica era Sergio Ponti, che per inaugurare nuovi capannoni nella sua Cemental vi organizzò rappresentazioni di opere (una volta Tosca e un’altra Rigoletto), chiamando a partecipare la popolazione. E Panocia, che aveva cambiato mestiere ed era diventato grande amico di Pavarotti (Luciano diceva: «Mio padre fa il fornaio, il tuo il mugnaio: siamo una bella impresa») cominciò a girare il mondo e i teatri lirici connessi; e a collezionare selfie. Si aggregò anche ad una missione del PCI locale al Cremlino, così potette intrufolarsi senza biglietto al Bolshoi. E sempre più gnocco fritto e tortelli della moglie Silvana attiravano ospiti illustri e meno illustri a far baràca a casa sua.

«Per impulso di Ponti, che ne fu presidente, si costituì a Correggio nel 1970 il Circolo Amici della Lirica, con oltre 600 iscritti. Si litigò a lungo se dovesse essere solo “della lirica” o della musica in generale: vinsero i patiti del melodramma. Il Circolo ebbe risonanza non solo locale, perché organizzò concerti (memorabile quello nelle carceri di Reggio), presenze nei principali teatri italiani e tournè all’estero (partecipatissima fu quella al Metropolitan di New York). Morto prematuramente Ponti, il Circolo, finché fu presieduto da Doriano Gasparini, continuò a promuovere iniziative, ma poi verso la fine del decennio progressivamente si spense».

Mi viene da pensare che questo ambiente così appassionato di musica sia stato il terreno su cui sono fioriti numerosi, nei decenni successivi, i complessi e le esperienze rock delle nuove generazioni di Correggio.

«Quando Pavarotti morì nel 2008 ho pensato che dovessi fare qualcosa per ricordarlo: oltre che il mio grande amico è stata la più importante voce della lirica del suo tempo. Dal niente ho organizzato con le mie conoscenze il premio Pavarotti d’Oro. Il 10 ottobre di quest’anno si tiene la decima edizione. Nelle precedenti edizioni sono stati premiate le carriere di artisti illustri come Nucci, Carreras, Bocelli, Freni, Kabaivanska. È una iniziativa ormai diventata un marchio, l’unico che si richiama a Pavarotti, e che non sta a Modena ma a Correggio.»

E qui Franco Casarini si ferma. Ci confessa che a 83 anni ha un’unica preoccupazione: far sì che questa iniziativa non finisca con lui. Forse la gente identifica il premio come un interesse di Panocia e non di Correggio. Non c’è bisogno di tanti soldi (un po’ di sponsor sì), ma di attività organizzative. E lui si sente meno in forze di una volta. Così ci affida il suo testamento: «Griminelli lo scorso anno ha lanciato l’idea di Correggio città della musica, e vedo che il Sindaco l’ha ripresa più volte. Il Pavarotti d’oro è una piccola eccellenza già pronta, rodata e ben conosciuta nel mondo della lirica. Si può pensare di buttarla via?»

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