Una volta si poteva pensare al lavoro come ad un’autostrada: un percorso lineare a cui avere accesso grazie al “casello” degli studi e in cui proseguire, senza troppi intoppi, fino all’”uscita” della pensione. Oggi decisamente non è più così: il mondo del lavoro ha cambiato drasticamente forma, passando da una linea retta dal diploma alla pensione, ad un “bush”, una boscaglia indistinta dove trovano spazio tante professioni diverse e particolari.
Questo è il punto di partenza dell’analisi di Federico Mioni, Direttore di Federmanager Academy, sull’orizzonte lavorativo, presente e futuro. Le sue riflessioni e i suoi consigli sul futuro del mondo del lavoro, proposte con alcune metafore, sono state raccolte nel libro Il lavoro di qualità (edizione Guerini Next); approfittando della serata di presentazione a Correggio, organizzata ad Aprile dal Circolo La Pira, ho rivolto a Mioni qualche domanda circa il mondo del lavoro.
In prima battuta, una domanda come insegnante: come possiamo aiutare i ragazzi in uscita dalle superiori o dall’università davanti a quello che lei chiama un “bush” in continuo cambiamento?
«L’orientamento va considerato come un elemento fondamentale: anche i genitori, fin dalla scelta che si compie in terza media, dovrebbero dedicarvi molta attenzione, e leggersi almeno le sintesi giornalistiche di quei rapporti (soprattutto il Rapporto Excelsior di Unioncamere) che dicono con dati precisi quali offerte di lavoro sono rimaste inevase nell’anno che si è concluso. Oppure, ricordo gli appelli inascoltati che Confindustria ogni anno rilancia per gli Istituti Tecnici e la lingua tedesca, fonti sicure di futuro lavoro. Una ricerca parla di una richiesta nei prossimi 5 anni di 150mila supertecnici (non laureati, basterebbe un ITS post diploma), in settori come la meccanica, la chimica, l’ICT, l’alimentare e qualche altro, ma in Italia vi sono solo 10.447 giovani iscritti ai 95 ITS, mentre la Germania ha percorsi analoghi con più di un milione di giovani. Il contributo del mio libro è racchiuso in alcune metafore, fra le quali vi è l’autostrada che richiede uscite e rientri sempre più frequenti, o la differenza fra il “bush” e un “orto botanico” delle professioni che in gran parte non c’è più: anche i consigli che mi sono permesso di dare vanno letti in un’ottica nuova, per evitare errori di prospettiva che sono ancora frequenti».
In un mondo globalizzato, in cosa un ragazzo italiano è avvantaggiato e invece in cosa deve stare più attento a non farsi “superare” dagli altri?
«La scuola italiana è migliore di tante altre, soprattutto nella capacità di dare strutture logiche e linguistiche più complesse e ricche di quelle proprie dei sistemi educativi di altri Paesi. Anche a livello tecnico e scientifico, sia scolastico che accademico, siamo posizionati meglio di altri sistemi, e me ne sono accorto anche negli Usa. Quel che ci manca è la capacità di fare sistema, di concentrare le risorse su un numero minore di atenei (oggi 106 compresi quelli telematici, negli anni ’70 erano meno di 30), di rinunciare a campanilismi e vocazioni generaliste per puntare su percorsi specifici, perché è così che nascono le eccellenze di cui il mondo si accorge: nella vetrina dei migliori finiscono tantissimi giovani italiani e un buon numero di strutture di ricerca, ma se queste ultime non trovano un sistema che le sostiene, rischiano di arretrare. I giovani italiani devono tenere conto di ciò e, se sanno scegliere, hanno più opportunità di quanto si pensi, ancor più in Emilia in cui c’è un ottimo sistema formativo e atenei che, in certe discipline, significano qualcosa anche a livello mondiale».
Lei ha detto che è grato di essere cresciuto a Correggio: che cosa la rende più orgoglioso di essere correggese, e cosa le manca di più della nostra città?
«L’aver conosciuto il rigore, nei lavori semplici come in quelli complessi, ho visto nella gente solida e autentica di questa terra, e l’aver incontrato tanti testimoni di solidarietà e impegno civile. A Roma mi manca quel rigore, così come a Milano e in America mi mancava il calore intelligente dell’Emilia: detto così in due parole sembra uno stereotipo banale, ma ogni volta che torno a Correggio sento emozioni che mi porto dentro da molti anni. Le cose che devo a Correggio sono troppe per essere sintetizzate, e ne ricordo solo una: quando hai visto esempi di rigore professionale o di capacità empatica come quelli che ho avuto la fortuna di incontrare, puoi lavorare in tante parti del mondo!»