Mettere in fila le conseguenze della pandemia è ormai un’impresa impossibile. Siamo entrati in questo momento storico senza immaginare la portata delle ricadute che ci sarebbero state sulle vite di tutti noi, e alcuni capitoli sono ancora da scrivere. Uno dei primi e più importanti è quello del lavoro, e per parlarne abbiamo deciso di concentrarci sulle esperienze dei giovani. Di volta in volta, proveremo a raccontare storie diverse provenienti da alcuni dei settori in cui i giovani correggesi si sono messi in gioco e hanno iniziato il loro percorso lavorativo. Perché proprio i giovani? Questo momento storico cambierà la nostre vite e, soprattutto, definirà le possibilità che potremo avere nel nostro futuro. Non è un caso se il tanto discusso piano europeo per la ripresa economica si chiama “Next Generation EU”. Le possibilità che diamo oggi a queste nuove generazioni costruiranno il mondo di domani. È anche guardando a loro, quindi, che possiamo capire il mondo che ci aspetta.
Ma partiamo da qualche dato generale. Nel momento in cui viene scritto questo articolo, ancora non si sa come il nuovo governo Draghi si porrà nei confronti di alcuni dei dossier più caldi del momento: in particolare, blocco dei licenziamenti e cassa integrazione. All’orizzonte, secondo il “Secondo Rapporto di monitoraggio sulla crisi da Covid-19” della Fondazione Consulenti del Lavoro, c’è il rischio di perdere il 12% dei posti di lavoro nella piccola e media impresa. Le stime mostrano che il rischio aumenta nel sud Italia, e anche per alcuni settori specifici, in particolare per quello degli alloggi e della ristorazione. Riduzioni ingenti del personale, attorno al 10-15%, sono attese anche per i settori dei servizi ricreativi, culturali e sportivi. Simili stime riguardano la fetta di imprenditori, artigiani, commercianti, professionisti e partite Iva, la cui riduzione delle attività si attesta intorno al 14%; una su sette, per intenderci. In questo panorama, i giovani risultano tra i più colpiti dalla crisi causata dal Covid-19. Già durante la prima ondata del virus, è stato calcolato che i lavoratori under 50 (quindi giovani ma non solo), abbiano perso in quattro mesi la crescita occupazionale dei sei anni precedenti. A giocare un ruolo è, però, l’istruzione: tra il 2019 e il 2020 il numero degli occupati under 34 è calato più del doppio per chi non aveva una laurea. La situazione che si delinea è una vera e propria frattura nel mondo del lavoro, che vede sempre più isolato chi ha meno di 35 anni.
Ma quali sono le cause? Contratti di lavoro precari e non tutelati, che non danno diritto a sostegni adeguati o che portano chi ha meno esperienza ad essere il primo che viene “sacrificato”. Questo fa sì che i giovani non possano fare esperienza, e che quindi manchino dei requisiti e delle conoscenze per migliorare il proprio curriculum, innescando così un circolo vizioso da cui uscire è per alcuni un incubo. Inoltre, molti giovani lavorano in settori che sono stati particolarmente colpiti dalle restrizioni imposte per far fronte alla pandemia. Tra questi, il primo che salta alla mente è quello della ristorazione: sono molti i ragazzi che scelgono di lavorare in un bar o in un ristorante, a tempo pieno o anche solo nei fine settimana. Lavorare significa raggiungere l’indipendenza, ma anche potersi pagare gli studi. Nuovamente, è un circolo vizioso. La laurea gioca una grande importanza, e se per mantenere gli studi in molti cercano da lavorare, ora questi sono i primi a perderlo, il lavoro. Il rischio è che a essere sacrificato sia anche lo studio, così come i progetti per il futuro. E così si ritorna da capo. Qual è la prospettiva per il futuro?
E ascoltando le voci dei ragazzi che lavorano nei bar e ristoranti correggesi, si sente proprio l’amarezza di questo periodo e il desiderio di tornare a fare qualcosa. Certo, si tratta di studenti che aggiungono il lavoro ai percorsi universitari e di studio, ma in poco tempo hanno perso sia quell’indipendenza economica per cui avevano lavorato, sia la possibilità di fare esperienza lavorativa. Come Elena Riccò, che racconta: «Da quando sono maggiorenne, ho sempre lavorato mentre studiavo. Ho fatto tante cose, non mi è mai piaciuto stare ferma e non mi piace chiedere soldi alla mia famiglia. È una questione di indipendenza: mi è stato insegnato che niente ti viene dato gratis. Ho fatto la babysitter, ho lavorato al mercato, al ristorante: il punto per me è darsi da fare. Ho lasciato il mio lavoro al ristorante alla fine dell’estate scorsa perché i miei progetti mi avrebbero portata a Milano, ma tutto è saltato e ora mi ritrovo a casa, studio a distanza e non ho la possibilità di lavorare». Nel suo caso, è stata lei a scegliere di smettere di lavorare, ma solo in funzione di un progetto più importante: trasferirsi e iniziare un altro percorso. Che è stato, puntualmente, cancellato. Il rischio è che anche i più virtuosi, anche quelli che da sempre si danno da fare, subiscano un colpo grosso da questo periodo e abbandonino le scelte e i percorsi che avrebbero voluto seguire. «Adesso mi dispiace non avere niente da fare», conclude Elena, «avevo in previsione di occupare il mio tempo con qualcosa che c’entrava davvero con quello che volevo fare della mia vita, ma non posso farlo».
Esperienza simile è quella di Marco Barigazzi, studente di conservatorio che per quattro anni – dalla fine del liceo – ha sempre trascorso i fine settimana lavorando come cameriere. «Non avevo passato il test d’ingresso per il conservatorio al primo colpo», racconta, «e quindi avevo scelto fin da subito di lavorare. Mi dispiaceva pesare sulla mia famiglia e sentivo la necessità di essere indipendente. Quello è il motivo per cui ho iniziato a lavorare, ma con il tempo ho capito che mi stavo anche aprendo delle possibilità per il futuro. Se il mio percorso principale di musicista non dovesse andare bene, ora so che ho già un altro mestiere che so fare e per il quale ho accumulato esperienza. Lavorare come cameriere subito è stata una necessità, perché era l’unica cosa che mi permetteva di studiare di giorno e lavorare alla sera, ma con il tempo il gruppo di lavoro è diventato quasi come una squadra di amici. Da quando hanno chiuso i locali lo scorso anno, quell’ambiente mi manca: al contrario dello studio, il lavoro ti dà risultati tangibili, concreti, a fine serata hai un risultato di ciò che hai fatto. Appena si potrà, riprenderò a farlo».