Il problema delle avversità climatiche da sempre rappresenta uno degli aspetti più critici del settore primario. Su questo fronte siamo abituati a pensare immediatamente alla grandine, che in pochi istanti può essere in grado di vanificare il lavoro di un’intera annata, spazzando via il reddito dei produttori che su quella coltura avevano già lavorato intensamente ed affrontato spese colturali importanti.
Le sorti di un prodotto colpito dalla grandine dipendono innanzitutto dall’entità della grandinata, vale a dire la sua violenza distruttiva, ma anche dal tipo di coltura e dal periodo dell’anno nel quale questa si verifica. In effetti è facile comprendere che se una grandinata si abbatte su un frutto appena allegato sortisce effetti molto differenti rispetto alla stessa grandinata che si abbatte su di un frutto in piena maturazione.
Nel primo caso, il prodotto può subire danni di quantità e soprattutto estetici, mentre nel secondo la produzione viene completamente distrutta. Il mercato purtroppo penalizzerà in ogni caso entrambe le situazioni quasi allo stesso modo: il consumatore non è disposto ad accettare una mela con due piccole deformazioni dovute a chicchi di grandine che, tuttavia, non hanno influito sulla qualità.
Quel prodotto non trova mercato o non viene comunque remunerato in modo dignitoso. D’altro canto in agricoltura si lavora a cielo aperto, le stagioni non sono tutte uguali così come differenti da un anno all’altro sono i risultati produttivi. Ma se un tempo nei campi l’avversità principale era la grandine, tanto che nel lontano 1836 è stata stipulata la prima polizza assicurativa per i danni da grandine in agricoltura, oggi le avversità climatiche, con i cambiamenti meteo in corso e sempre più imprevedibili, sono anche molte altre.
Le compagnie assicurative oggi sono organizzate per fornire polizze multirischio che prevedono la possibilità di assicurarsi anche nei confronti di altre tipologie di danno, come per esempio vento forte, sbalzo termico, eccesso di pioggia, colpo di sole e vento caldo, alluvione, siccità, gelo e brina.
La possibilità di assicurare le colture non rappresenta una garanzia al reddito dell’agricoltore, che resta in balia del meteo e si trova costretto ad affrontare ulteriori costi di produzione che sono il premio per la stipula della polizza. Si consideri per esempio che se il costo per assicurare una determinata coltura è il 10% del valore della stessa, affrontare questa spesa significa perdere un anno di produzione ogni 10.
Questo indipendentemente dal fatto che il danno si verifichi o meno. In caso di danno reale, le cose sarebbero ulteriormente negative visto che in questo caso al costo di stipula della polizza si andrà ad sommare l’onere della franchigia (quota non risarcita), che può spaziare dal 10 al 30% a seconda del premio che si sarà deciso di pagare in fase di stipula. Non da ultimo, entrando sempre più nello specifico, l’entità del danno.
Questo viene riconosciuto solo sulla produzione dell’annata: spesso se la grandinata è distruttiva avrà forti ripercussioni anche sulla produzione dell’anno successivo ma su questo fronte non ne risponde nessuno se non l’agricoltore stesso. Tutto questo non significa che le polizze assicurative contro i danni da calamità naturali, peraltro in parte agevolate da contributi statali, non siano utili e necessarie.
Sono uno strumento minimo di tutela per il produttore, con un suo costo ed una efficacia che però non è totale. Il ragionamento è simile a quello delle polizze auto, con la sola differenza che questa non è obbligatoria: l’agricoltore potrebbe anche decidere di farsi autonomamente carico del rischio, accumulando un fondo da utilizzare in caso di danno. Ovviamente le scelte dipendono anche dalla soggettività della zona e della coltura: le soluzioni di difesa attiva a mezzo reti di protezione antigrandine, diffuse sulle colture frutticole, non sono applicabili per le colture di pieno campo.