Un celebre verso di Cyrano de Bergerac (chissà in quanti Baci Perugina l’avrete letto), il poeta sfortunato creato da Rostand, dice «il bacio è un apostrofo rosa fra le parole t’amo».
È un’espressione ormai abusatissima, ma che mi fornisce il lancio perfetto dell’argomento del quale oggi vorrei discutere.
Romanticismo a parte, di cosa parliamo quando parliamo di apostrofi?
E soprattutto, quando vanno usati?
La maggior parte delle persone ignora questa sottile arte, che pure è fondamentale padroneggiare se si vuole fare una bella figura nel mondo del lavoro o nei più elementari rapporti personali.
È vero, viviamo nell’era del correttore automatico su computer o sul telefono, ma quando si tratta
di inviare un messaggio a mano o in una mail le imperfezioni vengono a galla e la gaffe è dietro l’angolo.
Ecco allora una breve guida.
Innanzitutto, vorrei dare una definizione del fenomeno. L’apostrofo si usa per indicare la caduta di una o più lettere in una parola. Esso indica l’elisione di una vocale finale davanti ad una parola che inizia per vocale: è un meccanismo che ci viene automatico a voce e che sulla pagina scritta segnaliamo, appunto, con l’apostrofo. Non mi soffermerò su tutti gli usi che se ne fanno, perché sono tantissimi e servirebbe ben più di una pagina. Ho deciso invece di parlare degli errori più frequenti nell’utilizzo dell’apostrofo.
L’apostrofo va utilizzato unicamente dopo l’articolo indeterminativo femminile una, che si trasforma così in un’. Al bando dunque espressioni come un’amico o un’appuntamento, che sono scorrette, mentre è necessario scrivere un’amica, un’impresa, un’elezione.
Allo stesso modo è necessario utilizzare l’apostrofo negli aggettivi che sono composti con l’articolo indeterminativo solamente quando sono seguiti da una parola femminile.
È necessario scrivere qualcun’altra, ma sarebbe scorretto scrivere qualcun’ altro (qui separato da spazi per colpa di Word che non capisce che voglio fare un errore appositamente. A proposito, gli apostrofi, nella scrittura su computer o smartphone, non vanno separati dalla parola che precedono con uno spazio).
Un altro grande mostro sacro dell’apostrofo, un dubbio davanti al quale tutti ci siamo trovati almeno una volta nella vita, è il seguente: qual è o qual’è? Non per nulla digitando “qu” su Google si scopre che una delle ricerche più rilevanti è proprio il dilemma di cui sopra. La soluzione è presto detta: qual è va scritto senza apostrofo. Altrettanto difficoltoso è l’uso dell’apostrofo nei monosillabi tronchi: non si tratta di una malattia incurabile ma di espressioni come po’ (un po’ di zucchero) e mo’ (a mo’ di esempio) e degli imperativi dei verbi dire, dare, fare, stare e andare (di’, da’, fa’, sta’, va’). A questi ultimi va dato maggiore rilievo perché rischiano di essere confusi con le preposizioni semplici omofone: di’ ciò che pensi va scritto diversamente da Il cane di Sara.
Attenzione poi ad alcune parole che hanno suono simile, ma diversa grafia: lo / l’ho (esempio: lo so / l’ho saputo); la / l’ha (esempio: la conosco / l’ha saputo); me ne / me n’è (esempio: me ne vado / me n’è rimasto).