E così, siamo arrivati a giugno. Tra distanze, mascherine e schermi, la scuola è riuscita a farcela, traghettando gli studenti da un anno all’altro. In un modo un po’ confuso, a volte improvvisato e precario, certo, ma dopotutto ce l’ha fatta, e questo è un sollievo. La scorsa estate, l’attuale ministro dell’istruzione Patrizio Bianchi (che al tempo faceva parte della famosa task force di Conte) era intervenuto a un convegno reggiano per parlare di come potesse ripartire la “scuola del futuro”. Tra le tante cose, si era lasciato sfuggire questa frase: «Si ha sempre la percezione che quando i bambini e i ragazzi cambino, cambino sempre in peggio. Ci dimentichiamo che quello che fanno è crescere». È vero, e lo è anche in questo momento storico. Il punto è che anche se abbiamo cercato di “mettere in pausa” la vita normale e la scuola normale correndo ai ripari, non è stato possibile mettere in pausa la crescita di bambini e ragazzi. In questo mondo in bilico, loro stanno già crescendo e anzi, sono già cresciuti. E nel farlo, tengono a mente il valore che diamo alla scuola oggi; non tra qualche mese, non quando tutto tornerà normale, ma adesso, nel momento della difficoltà.
Qui trovate alcune riflessioni di studenti e insegnanti, raccolte tra Correggio e dintorni. Tutti hanno raccontato la loro esperienza nell’affrontare la didattica al tempo del Covid. Molti di loro hanno sottolineato in più modi quanto la scuola sia cambiata, e credono che non sarà mai più quella di prima. In fin dei conti, la scuola cambia con chi la fa. La scuola, anche lei, cresce.
Paolo Bartoli (docente – scuole superiori)
Provengo dagli anni in cui ho visto nascere l’informatica, e ho sempre usato gli strumenti informatici nell’ambito professionale, quindi non ho subito molto il passaggio alla didattica a distanza (Dad). Gli studenti ne hanno risentito specialmente nei primi mesi di pandemia, lo scorso anno, quando si sono trovati sbalzati da un contesto di gruppo a uno individuale, con ciascuno di loro chiuso nella sua camera.
Quest’ultimo anno scolastico è stato meno complesso dei mesi del 2020 in cui era scoppiata la pandemia. Però abbiamo delle dispersioni, ossia studenti che non riescono a procedere in didattica a distanza. Dovremo prevedere lavori di recupero anche lunghi: da questa situazione, uscirà una “generazione Covid” con una formazione più bassa rispetto alle precedenti, e ci vorrà del tempo per eliminare le differenze. Da un punto di vista psicologico, penso che i ragazzi abbiano patito. Per loro, anche l’ambiente domestico si è rivelato complesso, dato che la vita familiare per come era stata impostata dai genitori è stata messa in discussione.
Gli stessi rapporti tra docenti sono stati complessi. Inoltre, chi è abituato a insegnare entrando tutte le mattine in classe si è trovato in una situazione tragica, con venti persone che ti guardano da un monitor. Si crea una difficoltà comunicativa che ostacola quel colloquio umano che siamo abituati a creare in classe. Fortunatamente ci siamo attrezzati per superare questo periodo, e grazie agli sforzi della dirigenza, degli insegnanti e degli studenti ce l’abbiamo fatta.
Aria Tolve (studentessa – scuole superiori)
Quest’ultimo anno è stato pesante e stressante. Mi è dispiaciuto per come si sono evolute le cose, e fa star male vedere come la scuola in questa pandemia sia stata messa indietro rispetto a tante altre cose. Mi ha anche dato fastidio il fatto che le decisioni e i vari decreti fossero sempre comunicati all’ultimo: abbiamo fatto continui cambi e questo ha destabilizzato molto la situazione. La Dad non ha molti lati positivi, specialmente per chi è all’ultimo anno delle superiori e deve sostenere l’esame di maturità. Per quanto riguarda i rapporti umani, mi rendo invece conto che in quest’ultimo periodo in cui siamo ritornati a scuola, si sono creati dei legami molto belli. Sto passando queste ultime settimane guardandomi intorno, cercando di raccogliere le sensazioni per ricordarmi che cosa significhi davvero “stare a scuola”.
Sofia Toaldo (docente – scuole elementari)
Personalmente, sono soddisfatta di quest’ultimo anno. Noi insegnanti abbiamo davvero dovuto imparare ad arrangiarci, per cercare di seguire tutte le norme ma nello stesso tempo andare incontro alle esigenze dei bambini. Ci siamo dovuti inventare nuove soluzioni con meno risorse: i bambini hanno bisogno di imparare anche attraverso il gioco, cosa che si è potuta fare poco. Tuttavia, la sola possibilità di venire a scuola ogni mattina ha fatto loro molto bene, specialmente in un momento in cui agli studenti di altre età non era permesso. Per quanto riguarda i bambini, alcuni di loro hanno sofferto l’ansia della situazione, ma penso che il loro vissuto sia molto diverso da quello degli adulti. Spesso i più piccoli subiscono le ansie dei genitori, e la maggiore fonte di stress proviene proprio dagli adulti. Se i bambini trovano davanti a loro delle figure che riescono a rasserenarli, allora cambia tutto.
Leonardo Lazzaretti (studente – scuole superiori)
All’inizio è stato complesso prendere confidenza con i dispositivi per la Dad, specialmente per i professori. Anche il fatto di essere a casa, per noi studenti è stato complicato da gestire. Ho sentito alcune esperienze di ragazzi che venivano riempiti di compiti quando erano a casa, o che sono stati sommersi di verifiche e interrogazioni nei pochi momenti in cui andavano in classe in presenza. Con il passare del tempo però, ci siamo trovati tutti abbastanza bene. Penso che la Dad abbia comunque dei vantaggi, e ti permette di sfruttare strumenti di cui non disponi in una lezione normale. Io e i miei compagni abbiamo creato dei gruppi di studio online per trovarci, e penso che questo sia stato molto d’aiuto per superare la distanza. È stata proprio la lontananza, infatti, uno degli elementi più complessi di questo periodo: non vedere gli amici e non avere vicinanza fisica è difficile. Ho intorno a me persone che l’hanno sofferto molto. Penso comunque che questo anno porterà molti cambiamenti nella scuola, e ritengo che alcune delle novità introdotte con la didattica a distanza rimarranno anche in futuro.
Federica Del Coco (docente – scuole medie)
La scuola che stiamo vivendo noi oggi è completamente diversa da quella che ci trovavamo a vivere sia l’anno scorso che due anni fa. Quando a settembre siamo ritornati in classe, abbiamo cercato di ripartire seguendo il vecchio stile, ma si è capito subito che non era possibile. Anche solo tutte le norme sanitarie e i dispositivi azzeravano i capisaldi della scuola: prestarsi le cose, passarsi anche solo una biro, avere vicinanza fisica. Non c’è stato modo di sfruttare in modo costruttivo le relazioni tra ragazzi, anche solo per forme di tutoraggio tra pari. Abbiamo però cercato fin dall’inizio dell’anno di sfruttare i dispositivi e le tecnologie che ci avevano accompagnato nel lockdown dei mesi precedenti; questo specialmente per le classi prime, perché alle elementari la loro esperienza era stata molto diversa da quella che avrebbero incontrato alle medie.
Quando poi siamo arrivati a febbraio, siamo tornati di nuovo in Dad. Nelle classi rimanevano in presenza gli studenti con bisogni educativi speciali: noi insegnanti ci ritrovavamo a fare lezione contemporaneamente agli studenti da casa e a quelli che potevano venire in classe. Questo però era complesso, non solo per noi, ma anche per gli stessi ragazzi. Basti pensare a tutto il lavoro che c’è stato negli anni per abolire le “classi speciali”; è stato necessario agire con molta delicatezza, per evitare che si creassero delle dinamiche dannose. È cambiata anche la gestione della quarantena. Ho visto ragazzi piangere quando venivano a sapere che la loro classe sarebbe rimasta a casa in quarantena, ma ho visto anche quanto sanno essere resilienti, molto più di noi adulti.
La nostra scuola si è attivata per risolvere molti problemi, dando hardware in comodato d’uso per gli studenti in difficoltà, e ci siamo messi davvero a disposizione della comunità. La sensazione è quella di aver fatto un buon lavoro, di avercela fatta. La chiave è cercare di mantenere l’entusiasmo per quello che si fa. Solo così è possibile trasmetterlo agli studenti: in fin dei conti, siamo tutti dalla stessa parte.