Ha dedicato tutto il suo impegno professionale al nostro sistema sanitario pubblico.
Oggi è a capo di uno dei più grandi ospedali universitari italiani.
Il 16 dicembre scorso la correggese Antonella Messori, 59 anni, è stata nominata Direttore Generale del Policlinico Sant’Orsola di Bologna.
L’abbiamo incontrata a otto mesi dall’assunzione dell’incarico.
Ci riceve nella sua casa a Correggio.
Nel giardino c’è un vecchio ulivo: il tronco dimostra tutta la complessità della sua lunga vita e la grande chioma regala un’ombra benefica nel caldo afoso dell’estate.
Viene spontaneo il paragone con la struttura sanitaria che Antonella Messori ha accettato di guidare: antica, imponente, complessa e oggi all’avanguardia nei servizi sanitari e nella ricerca.
Qual è stata la sua reazione quando le hanno chiesto di assumere l’incarico?
«Ho dovuto ovviamente prendermi qualche giorno di riflessione prima di accettare.
Il Policlinico di S. Orsola è una realtà prestigiosa, famosa in Italia e nel mondo.
È una città nella città: su un’area di 2 km quadrati insistono 27 padiglioni, di cui alcuni grandi
come un ospedale di medie dimensioni; ogni giorno vi transitano oltre 20.000 persone, di cui 5.153 sono dipendenti. Ma non è solo la grandezza che la rende una struttura complessa. Punto di riferimento anche internazionale per diverse patologie, è la sede del Centro regionale per i trapianti e dal 2015 ospita il Polo Cardio-toraco-vascolare più all’avanguardia in Europa. Il rapporto con l’Alma Mater (Università di Bologna) rende poi il S. Orsola strategico nel sistema sanitario nazionale. Tutti questi aspetti non possono che gratificare la persona che viene scelta come Direttore Generale, ma allo stesso tempo dicono chiaramente il livello di responsabilità che ci si assume. Ho accettato la sfida. Dopo due anni di notevoli soddisfazioni come Direttore Generale del S. Maria Nuova (inaugurazione del Core-Centro Oncologico ed Ematologico e primi concreti passaggi per la realizzazione del Mire-Maternità e Infanzia), mi sono resa conto di essere pronta per un’esperienza completamente nuova, fuori dal contesto in cui sono cresciuta, cioè le strutture sanitarie pubbliche delle province di Reggio Emilia e Modena. E oggi non sono pentita».
Quali sono i criteri che la stanno guidando nella gestione del S. Orsola?
«C’è una stella polare per chi sceglie di assumersi responsabilità come queste: credere nell’utilità di un sistema sanitario pubblico. Soltanto da lì può partire l’impegno per rendere il sistema “sostenibile” anche economicamente, con scelte manageriali efficaci. E queste scelte occorre assumerle con il coinvolgimento dei professionisti che sono la principale risorsa di qualsiasi struttura sanitaria pubblica, compreso il Policlinico di S. Orsola. Un altro criterio che mi guida è l’ascolto dei cittadini, degli assistiti. Il S. Orsola può contare sulla presenza al suo interno di 53 associazioni di volontariato. Da loro ogni giorno arrivano impulsi e sollecitazioni preziose per chi vuole gestire un servizio pubblico».
Tutti conosciamo le caratteristiche positive del sistema sanitario pubblico nel nostro territorio. Ci sono comunque aspetti da migliorare?
«Ci sono senz’altro alcune questioni su cui continuare a lavorare senza cedere di un millimetro, tenendo ben presente l’obiettivo fondamentale: riuscire a sostenere un sistema sanitario che in tanti ci invidiano. I problemi che possono compromettere la sostenibilità li conosciamo tutti: invecchiamento della popolazione, malattie croniche, costi della tecnologia e dei nuovi farmaci. Gli strumenti per affrontare queste criticità sono prevenzione primaria (dobbiamo sempre di più responsabilizzare i cittadini), prevenzione secondaria, erogazione dei servizi più diffusa sul territorio (ospedale solo per le cure ad alta tecnologia) e organizzazione dei servizi in rete (gli specialisti si spostano da una struttura all’altra)».
Lei conosce bene la storia del nostro ospedale, il S. Sebastiano. Ci sono stati momenti critici, ma ora si configura come una struttura di riferimento per la riabilitazione. Cosa insegna questa vicenda?
«Ricordiamo tutti quali tensioni visse la comunità correggese nel periodo in cui la Regione decise di chiudere alcuni servizi. In quell’occasione la politica e l’amministrazione locale ebbero il coraggio di non farsi travolgere dall’onda della protesta e di compiere una scelta che aprì alla prospettiva di una specializzazione della struttura, ora punto di eccellenza. Mi sento di dire che questa vicenda è un esempio di come si dovrebbe procedere anche oggi in situazioni analoghe, quando c’è la necessità di razionalizzare e soprattutto qualificare i servizi».
Lei è nata e continua a vivere a Correggio. Cosa la lega in particolare alla nostra realtà locale?
«Sono nata e cresciuta a San Biagio. Ho frequentato il liceo classico Rinaldo Corso. Mi sento correggese DOC e voglio continuare a vivere qui. Non c’è nulla che mi rilassi come un giro in bicicletta nelle nostre stradette che costeggiano i canali di bonifica, circondate dai vigneti. Se posso torno a casa ogni sera da Bologna per godermi Correggio e il viaggio di andata e ritorno lo faccio in compagnia di un correggese, Davide Fornaciari, che era al mio fianco al Santa Maria Nuova e ora è con me come direttore amministrativo. Insomma: due correggesi al S.Orsola!».