La plastica usa e getta ha i giorni contati

Marco Boselli sull'impatto della nuova direttiva UE

E così è proprio giunto il momento di dirsi addio, “cara” plastica monouso!

Lo scorso 31 maggio la Commissione Europea ha fornito le linee guida relative alla Direttiva UE 2019/904, in merito al prossimo abbandono della plastica monouso.

La Direttiva dovrà essere recepita da tutti i 27 Stati membri entro il 3 luglio con lo scopo di “prevenire e ridurre l’incidenza di determinati prodotti di plastica sull’ambiente, in particolare l’ambiente acquatico, e sulla salute umana, nonché promuovere la transizione verso un’economia circolare con modelli imprenditoriali, prodotti e materiali innovativi e sostenibili, contribuendo in tal modo al corretto funzionamento del mercato interno».

In poche parole, come abbiamo imparato soprattutto negli ultimi anni, è necessario limitare l’utilizzo della plastica, per salvaguardare la salute dell’ambiente e, quindi, anche la nostra. Quando parliamo dell’inquinamento della plastica, non ci riferiamo solo dei rifiuti ben visibili sulle nostre spiagge o in qualsiasi ambiente in cui si ha traccia dell’uomo, ma anche a tutti i frammenti più microscopici che dall’ambiente vengono assorbiti e accumulati negli organismi viventi che poi mangiamo. È notizia dello scorso dicembre quella del ritrovamento di frammenti di microplastiche fin nella placenta umana: questo a sottolineare quanto questo materiale sia intrecciato con le nostre vite ormai da prima della nascita.

Un modo per capire come sono cambiate (e come cambieranno!) le nostre abitudini e le nostre sensibilità riguardo la plastica è rivolgersi a chi ha il compito di gestire e smaltire i rifiuti: uno dei maggiori esperti del settore è un nostro concittadino correggese: l’ingegner Marco Boselli, direttore generale di S.A.BA.R. SpA, l’azienda di servizi ambientali della bassa reggiana con sede a Novellara.  «In realtà la plastica è utilissima – ci spiega – guai se non l’avessimo. Proviamo a pensare un mondo senza plastica? Dall’alimentare (tutti i tipi di imballaggi per conservare meglio e più a lungo i prodotti, sportine, confezioni), alla farmaceutica (blister, dosatori, confezioni anti-apertura per bambini), dagli ospedali (flebo, sacche del sangue dei donatori), all’edilizia (tubi, che tanti anni fa venivano fatti in ferro o cemento amianto, le tapparelle, gli infissi in pvc che durano a lungo al posto del legno), tutte le apparecchiature elettriche ed elettroniche (cellulari, tablet, pc). Per lo stile di vita che abbiamo raggiunto, è impossibile rinunciarvi. Inoltre, il vantaggio della plastica è che pesa pochissimo: quando ce ne dobbiamo disfare, perché non serve più, è comunque molto leggera e nella maggior parte dei casi è anche recuperabile».

 

Da cosa sono dettate queste norme sempre più stringenti?

«Le direttive nascono per preservare l’ambiente e, di riflesso, la salute umana. Oltre alle quantità enormi di plastica che consumiamo, in diverse zone del pianeta ci sono anche grosse problematiche rispetto alle modalità di conferimento. Dieci fiumi al mondo riversano ben otto milioni di tonnellate di plastiche nei mari, creando le famose “isole di plastica” al centro di tutti gli oceani e, pare, anche al centro dei nostri mari. Queste generano gravi danni alla fauna che se ne ciba. Animali che poi arrivano nei nostri piatti, con annessi e connessi…».

A tal proposito, quanto è riciclabile la plastica?!

«Quando parliamo di plastica indichiamo un vastissimo numero di molecole, che però, se raccolto separatamente è quasi sempre riciclabile (PP, polipropilene, PS, polistirolo, HDPE ed LDPE, polietilene alta e bassa densità, PVC, polivinilcloruro, ecc.) In S.A.BA.R a Novellara abbiamo trituratori per ricreare scaglie di plastiche da lavare, fondere e poi ristampare.

Il problema maggiore però, soprattutto sulle plastiche utilizzate dai cittadini, è che sono tutte mescolate e servono impianti efficienti, come quello presente a Cadelbosco, per la corretta selezione di tutto ciò che può essere recuperato, per poi avviarlo alla filiera del recupero.

Ciò che rimane sono gli imballaggi cosiddetti poliaccoppiati (l’insieme di più polimeri o plastica insieme ad alluminio), come involucri per merendine, patatine, caffè, che invece andranno a recupero energetico e non di materia».

 

Per quanto riguarda la plastica “usa e getta”, qual è lo scenario?

«A gennaio 2020, con i comuni della Bassa Reggiana, abbiamo presentato un bel progetto ad ATERSIR, ente di controllo sulla gestione dei rifiuti della Regione Emilia Romagna, per limitare al massimo l’utilizzo dei prodotti monouso nelle scuole, nelle feste, nelle sagre e nella quotidianità. Poi però è arrivato il Covid e si è passati, giustamente, dal “Plastic Free” al “Covid Free”, che non solo ha riacutizzato l’utilizzo del monouso, ma addirittura il monouso imbustato per non creare possibili situazioni di contagio!

Sotto questo aspetto è cambiato il mondo! E finché non usciremo definitivamente dalla pandemia sarà difficile ritornare a proporre in svariate situazioni di togliere il monouso».

 

Quali sono i prodotti che sono stati messi al bando dalla direttiva europea?

«Quei prodotti plastici che spesso si trovavano e si trovano tuttora sulle spiagge, nei mari e nelle griglie dei corsi d’acqua, come posate, piatti, cannucce, bastoncini cotonati, agitatori per bevande, aste per i palloncini e contenitori per alimenti non potranno più essere realizzati in plastica, anche quelle biodegradabili.

E su questo mi trovo abbastanza d’accordo! Sono tutti oggetti abbastanza superflui ed il tempo di biodegrabilità potrebbe essere lungo (ed addirittura non completo) in un ambiente naturale».

 

Esistono altre soluzioni? Come dicevi, la plastica ha anche ottime proprietà!

«Dobbiamo tutti cercare di eliminare l’utilizzo del monouso, ad eccezione delle situazioni in cui la sicurezza sanitaria non lo permetta. Ove non sostituibile, si deve provare ad utilizzare prodotti a base di carta, che possono essere recuperati più facilmente, non disperdendoli mai nell’ambiente e conferendoli negli appositi contenitori, che nel nostro territorio non mancano mai.

Allargando un po’ lo sguardo, come giudichi la problematica della plastica a livello globale?

«Posto che in Italia e nella maggior parte dei paesi globalizzati, a parte qualche regione, i comuni sono attrezzati con filiere di raccolta e recupero dei rifiuti  di qualità, dobbiamo fare in modo che si ponga la parola “FINE” il prima possibile soprattutto nei paesi asiatici e africani, dove tuttora continuano ad avere come sistema di smaltimento rifiuti i fiumi ed i mari! Un noto studio, svolto sull’evoluzione della produzione dei rifiuti a livello globale, sostiene che nel 2050 la produzione di rifiuti aumenterà del 70% rispetto allo stato attuale, in quando crescerà il livello dello stile di vita di diversi paesi.

Pertanto, dobbiamo farci trovare pronti e affrontare con competenza, coerenza, lungimiranza, professionalità la sfida della riduzione, smaltimento e riciclo dei rifiuti con grande senso di responsabilità degli amministratori e dei singoli cittadini.

Come dice un saggio proverbio indiano sulla cura della madre terra: “Quando avrete abbattuto l’ultimo albero, quando avrete pescato l’ultimo pesce, quando avrete inquinato l’ultimo fiume, allora vi accorgerete che non si può mangiare il denaro”».

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